Giorgia Meloni (LaPresse)

una rassegna internazionale

Perché la stampa estera capisce la nuova Meloni meglio di quella italiana

Claudio Cerasa

Parte dallo scorso gennaio la sorprendente tendenza a non scrivere male del nostro paese, anzi. Un messaggio implicito per la premier: meno status quo, più coraggio. E per la sinistra: meno cliché (l’antifascismo), più attenzione ai problemi reali

E’ la stampa internazionale, bellezza. C’è stato un tempo più o meno glorioso durante il quale gli avversari della destra potevano utilizzare un’arma piuttosto affilata per colpire i propri nemici al governo. C’è stato un tempo, più o meno fortunato, durante il quale il tema della reputazione all’estero del governo veniva utilizzato costantemente per provare a delegittimare gli esecutivi della destra. C’è stato un tempo, più o meno allegro, durante il quale i nemici della destra non facevano altro che trasformare i giudizi della stampa estera, sull’Italia, in una certificazione plastica della presunta scarsa affidabilità del nostro paese. C’è stato un tempo in cui per il centrosinistra compulsare la stampa internazionale era motivo di orgoglio – vedete, dicono quello che diciamo noi, dicono che il paese è allo sfascio, che la destra è fascista, che l’Italia è allo sbando. E’ arrivato un tempo, quello di oggi, in cui per l’opposizione compulsare la stampa estera significa provare sulla propria pelle sensazioni non troppo diverse da quelle sperimentate negli ultimi mesi dai tifosi dell’Inter un attimo prima dell’ingresso in campo dell’attaccante di scorta Marco Arnautovic.  

In due parole: panico assoluto. E così capita che la sinistra italiana – che dall’opposizione ha usato spesso la stampa estera per dimostrare la bontà delle proprie tesi sulla destra di governo: questi impresentabili sono! – di fronte agli ultimi articoli dedicati dalla stampa estera all’Italia resti quantomeno delusa. Gli ultimi, la scorsa settimana. Prima il Financial Times, che venerdì ha aperto la sua edizione europea con un pezzo lusinghiero sull’economia italiana, il cui pil va meglio di quello tedesco e il cui spread che viaggia sorprendentemente sempre più al ribasso “ha colto di sorpresa molti investitori”. Lo stesso giorno, Politico parla delle strategie future della premier italiana e spiega che Meloni è lì che “si prepara a orientare la politica europea a suo favore”. E’ sempre venerdì poi quando il Figaro intervista il politologo Thibault Muzergues, autore di un libro interessante intitolato “Post populismo”, che spiega come Meloni incarni “un nuovo liberal-conservatorismo” e come la premier non sia “affatto sulla linea di Orbán e del suo illiberalismo”.

 

L’elenco della sorprendente vocazione della stampa internazionale a non scrivere male dell’Italia però è lungo e parte da lontano. Il 24 gennaio, l’Economist ha scritto che “Giorgia Meloni non fa così paura”, ha notato che “i timori liberali si sono finora rivelati infondati” e ha aggiunto che nei primi quindici mesi di governo “Meloni più che da leader demolitrice si è mossa da leader convenzionale”. Il 7 febbraio, il New York Times ha scritto che in Europa Meloni sta lavorando bene e ha sostenuto che il lavoro fatto dalla premier con Viktor Orbán, sul dossier ucraino, “è stato un grande momento per l’Europa ed è stato anche un grande momento per la Meloni, che ha suggellato la sua credibilità come persona in grado di svolgere un ruolo influente ai massimi livelli dei leader europei”. Il 10 febbraio, la Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz) ha scritto che l’Italia “è sottovalutata” e che “nonostante i problemi e i legittimi dubbi sull’Italia, la performance della potenza economica viene spesso trascurata”. Il 15 febbraio, l’Echos ha notato un cambio di lessico positivo nella narrazione meloniana, sull’immigrazione: “Quando era a capo dell’opposizione aveva promesso di istituire un ‘blocco navale’ sulla costa nordafricana, ora il presidente del Consiglio vuole costruire un ponte tra le due sponde del Mediterraneo per crescere insieme”.

Il 16 febbraio, il Figaro ha elogiato Meloni per aver “scelto di distinguersi” dal gruppo dei populisti di Identità e democrazia (dove si trovano Salvini e Le Pen). Il 18 febbraio un altro giornale francese, progressista, il Monde, ha aggiunto un elemento di riflessione in più, sull’approccio scelto da Meloni sull’immigrazione. Xenofobia? Mica tanto. “Lungi dall’accusare l’Unione europea di essere responsabile dell’afflusso di migranti, Giorgia Meloni ha convinto Bruxelles delle sue tesi e diventa essenziale sulle questioni migratorie. Per Giorgia Meloni la questione migratoria è anche un tema per brillare sul piano internazionale. E’ la priorità della sua diplomazia, il nodo sul quale la presidente del Consiglio disegna e afferma per il suo paese un nuovo ruolo di protagonista in Europa e sul continente africano”.

Il 21 febbraio, poi, è la volta dello Spiegel: grazie ai circa 200 miliardi di euro che riceve dal Next Generation Eu, l’Italia “naviga nell’oro”. Gli spunti di riflessione suggeriti dalla stampa internazionale – con la quale non a caso qualche settimana fa Meloni si è trovata perfettamente a suo agio, arrivando al punto di mettersi a ballare sulle note di “Billie Jean” di Michael Jackson alla cena dei corrispondenti della stampa estera subito dopo la batosta subita in Sardegna – sono lì a indicare, all’opposizione, alcuni elementi interessanti che meriterebbero di non essere trascurati. Il più interessante forse è questo e riguarda un dato di fatto difficile da trascurare. L’opinione pubblica internazionale, e probabilmente anche molte cancellerie europee, considera credibile la trasformazione di Meloni in una leader mainstream, suggerisce indirettamente all’opposizione italiana di studiare il cambio di pelle della presidente del Consiglio per provare a incalzare il governo non sui problemi che non vi sono (per esempio il fascismo) ma sui problemi che vi sono (per esempio la crescita) e indica a Meloni una strada che forse varrebbe la pena cogliere e che potremmo provare a sintetizzare brutalmente così.

Il governo Meloni, nonostante tutto, gode della fiducia dei suoi partner, gode di un certo prestigio internazionale, gode di una certa credibilità in Europa. E allo stesso tempo, oggi, l’Italia di Meloni viene osservata con curiosità per diverse ragioni. Il populismo del governo è stato messo da parte sui dossier importanti, l’europeismo nelle partite che contano ha prevalso sul nazionalismo, i soldi europei possono aiutare il paese a vivere una piccola età dell’oro nonostante le difficili condizioni dei principali partner economici del paese e mai come in questa stagione l’Italia più che campare di rendita dovrebbe fare uno sforzo di fantasia per mettere in campo creatività, visione e capacità di programmare il futuro. Meno status quo, più coraggio. La stampa internazionale: per una volta, che bellezza.
 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.