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l'intervista

Altro che sovranisti. L'europeismo leghista spiegato da Guido Guidesi

Maurizio Crippa

"Vogliamo un’Ue che ascolti i territori”. L’assessore lombardo ci spiega perché la Lega modello Csu può avere un futuro

L’autonomia? “Per il settore di cui mi occupo in Lombardia, vuole dire: equità di competizione a livello europeo”. Equità? Competizione? Livelli europei addirittura? Sta per arrivare l’autonomia differenziata (forse, se mai troveranno la quadra sui Lep e soprattutto se qualcuno oserà affrontare la parola magica, residuo fiscale) e anche il meno distratto degli italiani pensa che alla fine si tratti di una guerra tra regioni, un tira e molla per qualche competenza in più, un’utopia troppo a lungo ruminata oppure una bandiera agitata per una lotta che è solo politica. E robetta italiana poi, mentre l’Europa corre altrove. Poi ci si siede a un tavolo con Guido Guidesi, nel suo ufficio a Palazzo Lombardia, e la prima risposta parla di equità nella competizione europea.

 

Si può pensare che stia parlando di un’altra cosa; si può pensare che forse nel linguaggio della Lega “autonomia” significa altro da quel che capiscono i politici di Roma; si può pensare che non tutti i leghisti sono uguali. Si può pensare che forse è meglio ascoltare. “Noi abbiamo grandi attori produttivi il cui protagonismo non è confinato in Italia, ma è almeno a livello europeo. Lo dicono i dati e i bilanci, siamo parte integrante di quel mercato”, dice l’assessore allo Sviluppo economico della regione Lombardia. “Significa che noi ci confrontiamo, in competizione o a volte in collaborazione, con territori che hanno maggiore autonomia dal punto di vista decisionale rispetto a noi: hanno maggiori competenze rispetto al governo centrale, ad esempio in Spagna e Germania, ma soprattutto possono utilizzare la leva fiscale. Diciamo così: siamo su una pista di atletica, ma gli altri partono almeno dieci metri avanti rispetto a noi. Tradotto: maggiore autonomia, per noi, è la possibilità di continuare a essere traino per tutto il paese dal punto di vista economico. Credo sia interesse di tutti permetterci di essere agli stessi blocchi di partenza degli altri”. 
L’assessore Guidesi, 45 anni da Codogno (il Covid l’ha visto arrivare da vicino), già sottosegretario alla presidenza del Consiglio, leghista da sempre e di posizioni continuamente giorgettiane, ha più l’aria dell’imprenditore con la testa sul pezzo che del politico a trazione sloganistica. Guarda i fatti dal punto di vista pratico, sa che non esiste sovranismo se una quota enorme del prodotto interno lordo della Lombardia – ma anche del Veneto, dell’Emilia-Romagna – transita in Europa e si costruisce nel rapporto con l’Europa. Dice spesso: per ogni viaggio che da assessore faccio a Roma, ne faccio il triplo a Bruxelles. 


“Se ho un investitore per un impianto qui, devo decidere io o aspetto le tempistiche di Roma?”


La critica all’autonomia è che sottrae risorse alle altre regioni. “Ma quali? Il pil italiano ha dati evidenti, cui noi contribuiamo notevolmente. Nel momento in cui per colpa di questi freni non riuscissimo più a essere competitivi nel contesto europeo, ne pagherebbero le conseguenze anche gli altri”. Dunque autonomia fa rima con Europa. Cosa cambierebbe, per l’assessore Guidesi? “Faccio esempi. Ci sono tante materie che competono al livello centrale. Una su cui non abbiamo pareri opposti, destra sinistra o Roma Lombardia sono le energie rinnovabili. Dobbiamo investire il più possibile in questo. Ma noi abbiamo un’infinità di interventi bloccati dalle tempistiche autorizzatorie del ministero dell’Ambiente, o dalle sovrintendenze. E’ un problema di cui parliamo tutti, tutti d’accordo, ma nessuno è mai riuscito a sistemarlo. Se io ho un investitore per un impianto qui, devo decidere io o aspetto le tempistiche di Roma? Il centralismo è contro lo sviluppo. Lo dico da federalista convinto ma anche con l’evidenza, con i dati”.

 

Lei in fondo sta parlando di modernizzazione del paese e di un rapporto migliore con l’Europa. L’opposto di quanto spesso si sente dire anche dal governo, che rilancia slogan protezionistici, e mostra una diffidenza di fondo. La sua idea di rapporto con l’Europa invece cosa prevede? “Innanzitutto comporterebbe che noi, posti nelle stesse condizioni degli altri, riusciremmo a pianificare meglio dal punto di vista strategico le nostre filiere: che, attenzione, sono interregionali ma anche sovranazionali. E’ la questione principale.  Le cito l’automotive, ora molto in difficoltà. Noi facciamo l’80 per cento della componentistica (almeno fin quando facevamo le auto endotermiche…) dei costruttori tedeschi. Vuol dire che tanto Baviera e Baden hanno bisogno della Lombardia, tanto noi abbiamo bisogno di loro. Se avessimo le stesse competenze, lo stesso trattamento fiscale, potremmo formalizzare un piano strategico settoriale fatto da tutti i territori manifatturieri dell’automotive da presentare alla Commissione europea. Come un piano industriale a livello europeo. Forse avremmo più risultati sulla concorrenza mondiale, no? Non è più Europa? Un piano così avrebbe credibilità  e faciliterebbe le scelte europee, perché viene presentato da più stati e dai territori che in quel settore operano”. E invece? “Invece Baviera e Baden riescono a sostenere la loro filiera sei volte tanto quello che possiamo fare noi, perché una parte del gettito fiscale è trattenuto dai Länder”. Il punto centrale dunque non è badare al proprio particolare, ma migliorare il rapporto dell’Unione con i territori manifatturieri. “Sì. Se guardiamo, ciò che è soprattutto mancato a questa Commissione uscente è il rapporto con i territori manifatturieri”. Andrà meglio con la prossima? Le prospettive sono incerte. “Parlo di quello che stiamo provando a fare. Stiamo provando a infilarci in questa sorta di transizione, diciamo così, tra una Commissione e l’altra, visto che finalmente l’Europa ha deciso di occuparsi del futuro della sua competitività. Noi siamo convinti che l’Europa sarà competitiva se ripartirà dai territori manifatturieri. Stiamo provando a creare alleanze, lo chiami lobbying istituzionale, tra territori manifatturieri per influenzare le scelte della prossima Commissione.  Baviera, Baden, Catalogna, Lombardia, Veneto, Liguria, Rhône-Alpes si parlano a seconda dei settori e insieme cercano di incidere sulle scelte”. Sono quelli che vengono chiamati “i quattro motori” europei.  “Non solo, noi oggi presediamo (come Lombardia) l’Associazione della chimica europea di cui fanno parte tutti i territori che hanno stabilimenti o parti della filiera chimica. La chimica che è stata tanto criticata, e invece ha fatto tantissimi passi avanti e da cui dipenderà al 95 per cento la transizione negli altri settori. Sono circa trenta regioni, più stakeholder e università, il tentativo è riportare l’attenzione della prossima Commissione su questo settore”. Dipenderà da come sarà composta, la prossima Commissione… “Per come la vedo, il  punto è non lavorare ‘in conseguenza di’, ma essere pronti noi a incidere, comunque sia”. Con questi e altri “motori europei” come lavorate, in quanto Italia? “Tramutare il rapporto istituzionale in un rapporto strategico ed economico. Sull’automotive abbiamo fatto passi avanti: le regioni nella filiera sono 34, ma fanno il 36 per cento del pil europeo. Pensi al suicidio di consegnare quel sistema ai cinesi… Diciamo che abbiamo riaperto il dibatto”. Non per forza contro, sottolinea Guidesi, “non abbiamo detto  cambiate gli obiettivi; anche grazie alle università abbiamo detto noi ci stiamo, ma siamo convinti che attraverso la neutralità tecnologica, che è un principio sacrosanto di democrazia tecnologica, noi all’impatto zero riusciremo ad arrivarci prima, magari anche salvando il motore endotermico. Pensiamo al biocarburante”. E’ cambiato molto negli ultimi due anni di Von der Leyen? “Sembra che ci sia la sorella oggi”.


“L’Europa sarà competitiva se ripartirà dai territori manifatturieri. Stiamo provando a creare alleanze”


Guidesi ha una lettura realistico-trasformativa dell’Europa, differente da certe posizioni ufficiali del governo: il Mes, l’agricoltura, il cibo. Contraddizioni? L’assessore procede coi passi di piombo del pragmatismo e del ruolo: “Io questo non lo so”, dice. “Le dico quello che penso io: trovo che alcune decisioni della Commissione uscente siano state surreali e profondamente dannose non solo dal punto di vista economico e sociale, ma anche rispetto agli obiettivi che si era prefissata. Ha sbagliato non ascoltando i territori. Se fai scelte sulle aziende, devi ascoltare i loro territori. Noi siamo campioni di economia circolare, riciclavamo la plastica prima ancora che fosse normata, lo scorso anno il 34 per cento dei nuovi assunti lombardi è entrato nei green job, ma poi ci dicono che non va bene”. Europa matrigna? “Non lo credo, io voglio contribuire a realizzare quell’Europa che ci avevano insegnato a scuola”. Niente sovranismo. “Quel tipo di atteggiamento da parte nostra è cambiato passando da una critica, anche profonda, a una capacità di proposta. Io sono l’assessore delle imprese, devo fare questo”. Prosegue: “Guardi, lo dico chiaro: coloro i quali rischiano davvero di affossare l’Europa sono quelli che continuano a dire che negli ultimi anni la Commissione non ha sbagliato niente. Non denunciare certi errori compromette il futuro dell’Europa più di qualche slogan”.

 

Sull’agricoltura, con la protesta dei trattori, chi ha sbagliato? “Ci sono alcuni obiettivi sacrosanti, ma non puoi dire che per raggiungerli si cancella un intero settore, o una sua parte. Devi creare strumenti per favorire che si vada verso quegli obiettivi. Ad esempio, da noi stiamo sperimentando il biocarbone: significa che attraverso la neutralità tecnologia alcuni nostri comparti siderurgici non hanno bisogno di cambiare i forni, possono usare il biocarbone. Vuol dire che lì non ci sarà bisogno di investire. Ma se io penso che in un settore bisogna invece cambiare, devo trovate gli strumenti. Se io ho l’obiettivo e lo strumento, ma mi serve poi liquidità, e se tu sei la stessa Europa che non mi dà la liquidità, che senso ha? Questo non vuol dire, certo, che la politica della Bce è stata sbagliata. Però, ad esempio, se fosse stato confermato alle aziende un fondo di garanzia come era stato messo nel momento della pandemia forse sarebbe stato meglio”.


Sovranismo? “Siamo cambiati, passando da una critica  dell’Ue a una capacità di proposta”


Quindi l’obiettivo di un federalista liberale non è meno Europa, ma Europa più funzionale. “Più concreta, più vicina ai territori”. Usa ancora questa espressione, Guidesi: “L’Europa che ci hanno insegnato a scuola”. Dunque gli si può anche chiedere: e la Lega che ci hanno insegnato a scuola, nel senso che la conosciamo ormai da decenni? Era una Lega autonomista ma che voleva “l’Europa dei popoli”, era sindacato del territorio, non era certo quella che oggi dice “prima gli italiani”, non stava certo con la Le Pen. Era un partito che assomigliava alla Csu tedesca, quasi. Non sarebbe male in futuro diventare un partito così? La risposta è una breve risata, l’immagine non gli spiace. “Diciamola così, ok”. Ma preferisce “evitare la contestualizzazione politica europea, un ambito in cui  le scelte sono fatte da chi le deve fare… Io faccio l’assessore regionale alle imprese e mi devo occupare di difenderle. Se per farlo devo riaffermare l’Europa delle regioni, e la sindacalizzazione del territorio, nel mio piccolo sono orgoglioso di poterlo fare”. 

 

Il grande accusato mondiale di questi anni post crisi è la globalizzazione, lo dice anche Draghi. Ma anche qui, l’opinione diffusa di molta destra guarda a Le Pen e Trump, nemici dell’Europa e della globalizzazione. Però senza globalizzazione non va avanti nemmeno l’economa lombarda, pensiamo alle merci rallentate nel Mar Rosso. “Esiste una sana mediazione, che è fatta soprattutto di regole. Serve una concorrenza regolamentata. Se si vuole ripartire, con regole, la prima cosa che indico è che va limitata l’influenza della finanza sulle materie prime. L’inflazione dell’ultimo anno è speculazione finanziaria sui costi dell’energia. Questa cosa va regolamentata, perché io non posso produrre in base al costo in Borsa del gas, non posso programmare né pianificare”. Non è questione di dazi. “Se non ci fossimo suicidati sulle auto non dovremmo star qui a parlare dei dazi alle auto cinesi, no?”. E il protezionismo? “Per me protezionismo è conseguenza di un atteggiamento anti concorrenziale da parte di qualcun altro, ma il primo aspetto è l’influenza negativa della finanza sulla parte produttiva”. Oppure, il ruolo delle banche: “Riaffidiamo a loro un ruolo di sviluppatore economico, o le lasciamo solo al ruolo di raccolta? Io credo che dobbiamo operare affinché tornino a mettere in circolo la liquidità. Ma ad esempio nel documento sulla futura competitività europea, questa parte sul ruolo delle banche manca”.


“Non credo che abbiamo bisogno di un favore da Trump, l’Europa deve giocarsi la sua partita come Europa”


Lei sta disegnando una Lombardia come sistema aperto in un sistema europeo collaborativo, un sistema liberale. “Sì, ci vogliamo giocare questa sfida”. Ma il mondo rischia tra pochi mesi di andare all’opposto. Trump non faciliterebbe. “Ma non so, non credo che abbiamo bisogno di un favore da Trump, l’Europa deve giocarsi la sua partita come Europa. Deve occuparsi di un piano industriale come giustamente si sta occupando di una difesa europea e questo non dipende da chi farà il presidente in America. Io le dico che sono un atlantista convinto, sono un leghista, e sono molto convinto di quella Europa che mi hanno spiegato a scuola, e che io ho visto solo in un momento”. Quando? “Quando c’è stata la pandemia. Lì ho visto l’Europa solidale, l’Europa interventista e l’Europa che si è occupata dei suoi cittadini. Delle sue imprese”. Eppure anche una parte del vostro elettorato rinfaccia all’Europa di essere stata una cattiva matrigna”. Io non l’ho vista così, e io sono di Codogno. Io le cito l’intervento sugli ammortizzatori sociali, gli spazi di bilancio lasciati ai singoli stati. Senza l’Europa sarebbe stata una catastrofe. Ma io sono sempre ottimista, perché lo sono le imprese lombarde”.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"