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Tra roma e bruxelles

Zingaretti ha un piano: così vuole portare Conte e il M5s nel Pse

Pietro Guastamacchia

I consensi di Conte fanno gola ai socialisti europei e l'ex segretario dem vorrebbe fare da pontiere tra grillini e Pse, consolidando anche in chiave europea l'asse che in Italia ha portato alla vittoria in Sardegna. Ma gli ostacoli non mancano, a partire dal posizionamento sull'Ucraina

Dopo i successi del campo largo in Sardegna, a Bruxelles torna di moda l’ipotesi del matrimonio tra Socialisti europei e Movimento cinque stelle. E per officiare il rito questa volta si offre l’ex segretario del Pd Nicola Zingaretti

Al Nazareno alla vigilia del congresso del Pse il tema è uscito in maniera esplicita e a tirarlo fuori è stato proprio Zingaretti, secondo quanto risulta al Foglio. L’ex segretario dem, sicuro della sua candidatura al punto da aver già ordinato un photoshooting a Roma assieme alla probabile capolista nella circoscrizione centro Marta Bonafoni, ha capito che oggi a far gola ai socialisti europei sono i numeri di Giuseppe Conte. Indietro di trenta seggi rispetto al Partito Popolare europeo, i socialisti potrebbero vedere dimezzato il distacco grazie ai probabili 15 eurodeputati di Conte, consolidando così a livello europeo un asse che in Italia sta dimostrando di funzionare. Almeno in parte.  Così l’Italia passerebbe  ad essere la prima delegazione del gruppo socialista e potrebbe rivendicare il peso chiedendone la guida, che a quel punto verrebbe probabilmente affidata a chi è stato capace di fare da pontiere: cioè Zingaretti.

Ma le insidie su questa strada sono parecchie: prima di tutto la scelta del capogruppo avverrebbe subito dopo il voto e quindi ben prima delle procedure d’ingresso di un eventuale nuovo membro. Per una possibile spallata all’attuale leadership spagnola infatti bisognerebbe aspettare il prossimo congresso. Dal lato del Pse d’altronde l’idea in generale non dispiace, anzi. La ritrovata intesa tra Elly Schlein e Giuseppe Conte infatti non è passata inosservata a Bruxelles. I punti di contatto tra la famiglia socialista e la linea del Movimento  sono molti, primo tra tutti la battaglia per il salario minimo, punto di forza dei 5s da anni e divenuta ora anche bandiera dei Socialisti europei grazie all’elezione a spitzenkandidat socialista del Commissario Ue al Lavoro Nicolas Schmit, uomo simbolo della direttiva europea sul tema. L’intesa poi è ora rafforzata dallo strappo di Schlein sul Patto di stabilità, definito dalla segretaria “un compromesso al ribasso”, musica per le orecchie della delegazione contiana che contro l’accordo raggiunto in trilogo ha già aperto il fuoco da settimane.

Dal lato dei Cinque stelle intanto appare sempre più evidente che la storia d’amore con i Verdi non versi in ottime condizioni. A rendere ancora più paradossali i rapporti tra Verdi europei e M5S ci si è messa proprio la vittoria di Todde. La sarda infatti era stata inviata da Conte a Bruxelles per mediare con la dirigenza dei Verdi europei ma le sue missioni sono state trattate “con sufficienza” dalla dirigenza del gruppo ambientalista, raccontano dalla delegazione pentastellata. “Un caso di miopia politica, non hanno capito che avevano davanti una figura chiave”, spiegano i grillini. I verdi insomma oggi avrebbero potuto intestarsi la vittoria in Sardegna e invece in Italia continuano a non battere chiodo.  Entrare finalmente in un gruppo europeo aprirebbe ai Cinque stelle anche le porte di alcune posizioni di peso a Strasburgo e, perché no, magari ad un presidenza di commissione, come per esempio la commissione Lavoro dell’Eurocamera, che potrebbe essere assegnata a Pasquale Tridico: idea che piace a molti e non solo nei Cinque stelle.

Sull’intesa però rimangono diversi ostacoli. Il principale è legato all’Ucraina. Il M5s infatti è stata l’unica forza politica d’Europa a votare compattamente contro la risoluzione del Parlamento europeo che chiedeva più armi per l’Ucraina. Una posizione inaccettabile per molti tra i socialisti europei. Pesa inoltre lo scoglio Meloni: molti tra i socialisti Ue infatti hanno già fatto pace con l’idea che la premier italiana entrerà in qualche modo nella prossima maggioranza europea. Eppure dalla delegazione pentastellata fanno sapere di non aver alcuna intenzione di votare una commissione sostenuta dalla premier. Posizione non del tutto sgradita a Schlein che potrebbe quindi approfittare di qualche voce in più per fermare i piani di Meloni a Bruxelles e dare il via libera al piano Zingaretti.

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