(foto Ansa)

il colloquio

Il presidente dimissionario di Anpi Milano: “Rischiamo di soffiare sull'antisemitismo. Serve un cambio”

Luca Roberto

Parla Roberto Cenati, dimessosi in polemica per l'uso del termine "genocidio": "In questi anni l'associazione ha pensato di poter fare politica, ma non è quello il nostro ruolo. Dobbiamo tornare allo spirito di Casali e Smuraglia"

Usando il termine genocidio si rischia di alimentare l’antisemitismo. Mi sarei aspettato che partecipassimo alle manifestazioni delle comunità ebraiche. E invece abbiamo preferito la propaganda e gli slogan di pancia”. Roberto Cenati spiega perché, tredici anni dopo, ha lasciato l’incarico da presidente provinciale dell'Anpi a Milano, visto che l’Associazione nazionale partigiani ha indetto per il 9 marzo una manifestazione contro il genocidio a Gaza. “Le parole sono pietre e per me quel termine è irricevibile, presuppone un’equiparazione con la Shoah”, spiega al Foglio. Aggiungendo pure che “l’Anpi, in questi ultimi anni, ha pensato di poter essere una specie di partito politico. Ma non è questo il suo ruolo. Dobbiamo tornare agli esempi di Casali e Smuraglia, partigiani veri”.

 

Cenati si è dimesso da presidente provinciale dell’Anpi di Milano “e nessuno dai vertici mi ha chiamato per esprimermi solidarietà”, racconta al Foglio. In questo colloquio elenca le numerose ragioni che lo hanno allontanato rispetto alla guida dell’associazione. “Anzitutto l’uso del termine genocidio, che presuppone lo sterminio di un’intera popolazione quando è chiaro che Israele sta combattendo una guerra contro il terrorismo. Sdoganare un termine del genere fa sì che il passaggio successivo sia equiparare il dramma della Shoah a quello che sta facendo il governo israeliano. Ma sono situazioni incomparabili. Perché mischiano in un unico calderone Israele, il popolo israeliano e gli ebrei”, spiega Cenati. In più “la popolazione civile palestinese è vittima di Hamas. E l’Anpi è come se si fosse completamente dimenticata di quel che è accaduto il 7 ottobre, che è stato un vero e proprio pogrom ai danni degli ebrei”.

Dimenticanze che fanno ancor più specie perché fu lo stesso presidente dell’Anpi Pagliarulo a mostrarsi molto timido quando si trattò di condannare i russi per il massacro di Bucha: “Non si possono usare due pesi e due misure. Perché altrimenti anche Hiroshima e Nagasaki cosa sono stati, due genocidi?”, riflette ancora Cenati. Che sulla guerra in Ucraina ha sempre pensato che la posizione ufficiale dell’Anpi, sbilanciata sul pacifismo, fosse quantomeno ambigua. “Siamo tutti a favore della pace. Ma non esiste una vera pace senza giustizia, senza una distinzione netta tra aggressore e aggredito. Lo diceva anche Papa Giovanni XXIII nella sua enciclica Pacem in terris. E per rendere giustizia alla nostra, di Resistenza, dovremmo ricordarci che era armata e di certo non si lanciavano fiori”.

 

Sullo sfondo di tutto il nostro colloquio con Cenati si muove la considerazione di cosa dovrebbe tornare a essere l’Associazione nazionale partigiani. “Molti hanno pensato che con la crisi dei partiti potessimo svolgere un ruolo di supplenza nei confronti della politica, diventare una nuova guida. Ma non è così. Non sta a noi esprimerci su migliaia di questioni, dalla sanità alle leggi di bilancio. Abbiamo la missione della memoria. E dovremmo servire a rilanciare nella società contemporanea i valori della Resistenza: democrazia, pace, contrasto a tutte le derive di intolleranza ma soprattutto libertà. Il nostro compito è quello di andare nelle scuole. Abbandonare gli slogan e sposare la conoscenza. E’ quello che continuerò a fare io”. Anche perché il rischio, occupandosi d’altro, “è proprio non riuscire a fare quel lavoro di ricognizione storica che ci viene richiesto. E se gli episodi di antisemitismo aumentano, se Liliana Segre viene contestata ed è costretta a vivere con la scorta, non possiamo che riconoscere di aver fallito”. Forse bisognerebbe dismettere troppe ambiguità per dare una svolta all’Anpi? “Cambiare si può. C’è solo da ricordarsi delle proprie origini”.

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  • Pugliese, ha iniziato facendo vari stage in radio (prima a Controradio Firenze, poi a Radio Rai). Dopo aver studiato alla scuola di giornalismo della Luiss è arrivato al Foglio nel 2019. Si occupa di politica. Scrive anche di tennis, quando capita.