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L'evento

Un 8 marzo per condannare il 7 ottobre e la sua mattanza femminicida

Nicoletta Tiliacos

A cinque mesi dal massacro di Hamas, l'associazione Setteottobre organizza una maratona oratoria per chiedere alle organizzazioni internazionali di riconoscere come stupro di massa le violenze ai danni di centinaia di donne israeliane 

L’appuntamento è il 7 marzo, a Roma, a cinque mesi esatti dal pogrom di Hamas che ha colpito Israele e gli ha dichiarato guerra, e alla vigilia dell’8 marzo, la data che celebra nel mondo le donne e le loro lotte. Alle 18, a piazza Santi Apostoli, l’associazione Setteottobre organizza una maratona oratoria alla quale aderiscono donne del mondo della cultura, della politica, delle istituzioni, del femminismo, per chiedere alle organizzazioni internazionali – prima tra tutte UN Women, che finora si è ben guardata dal condannare esplicitamente Hamas – di riconoscere come femminicidio e stupro di guerra di massa le violenze commesse il 7 ottobre 2023 su centinaia di donne in Israele e di perseguirne i colpevoli.

Stupri, mutilazioni, torture, uccisioni: violenze atroci, orgogliosamente esibite nei filmati girati dagli stessi terroristi mentre le commettevano, viste e raccontate dai sopravvissuti alla mattanza nei kibbutz e al Festival Nova, documentate dalle relazioni dei medici legali, da un’inchiesta durata due mesi del New York Times e soprattutto dal rapporto dell’Association Of Rape Crisis Centers in Israele (Arcc), che parla di abusi “sistematici e intenzionali” da parte da Hamas, non casi isolati ma “chiara strategia operativa”. Da quel rapporto, consegnato all’Onu lo scorso 21 febbraio e finora orfano di risposte, sappiamo anche che gli abusi sono continuati su alcune delle donne tenute in ostaggio dai terroristi e poi rilasciate.  Ai processi sommari contro Israele, nelle piazze, nelle università e nelle dichiarazioni del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, così come in quelle del rappresentante dell’Ue all’Onu, Josep Borrell, continua a corrispondere una stupefacente cautela, chiamiamola così, nel prendere atto di ciò che è avvenuto il 7 ottobre. Una cautela che assomiglia incredibilmente alla cecità volontaria. Credevamo che la lezione del Kosovo, con lo stupro come arma di guerra tornato in auge anche nella civile Europa, fosse stata acquisita una volta per tutte, e che alle violenze contro le donne non dovessero mai più mancare il riconoscimento e la sanzione delle organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani in generale e delle donne in particolare. Ma se sei israeliana per te non vale. Silenzio tombale anche in occasione della grande e importante manifestazione contro la violenza sulle donne del 25 novembre scorso, nel cui appello raffazzonato, a firma Non una di meno, c’era di tutto, perfino un anatema contro il ponte sullo Stretto di Messina, ma nemmeno mezza parola sulle donne violentate e uccise in Israele. Si poteva fare di peggio? Certo, perché la manifestazione “transfemminista” dello scorso 24 febbraio a Milano, sempre promossa da Non una di meno, ha apertamente accusato Israele di compiere un genocidio a Gaza, “in continuità” con “femminicidi, lesbicidi e transicidi”. Quelli commessi da Hamas, che come è noto reprime fino alla morte coloro che considera deviati sessuali? Macché. L’assurda accusa è rivolta contro Israele, paese in cui gli omosessuali palestinesi e iraniani hanno sempre trovato accoglienza e libertà. 


La necessità di denunciare il mortificante silenzio, la rimozione colpevole, i ribaltamenti tendenziosi e antisemiti riservati ai fatti del 7 ottobre 2023, hanno dato origine nello scorso gennaio all’appello “Non si può restare in silenzio” (prime firmatarie Andrée Ruth Shammah, Silvia Grilli, Alessandra Kustermann, Anita Friedman e Manuela Ulivi) che ha raccolto finora più di diciassettemila adesioni. Di fronte alle programmatiche violenze di Hamas, si legge nell’appello, “chiunque condanni la violenza di genere non può rimanere indifferente, o girare la testa dall’altra parte”. Nel solco di quell’appello, Setteottobre ha presentato a febbraio una formale richiesta all’ufficio del prosecutor della Corte penale internazionale dell’Aia, affinché vengano promosse indagini per i crimini contro l’umanità e genocidio commessi da Hamas il 7 ottobre 2023. L’iniziativa del 7 marzo a Roma – a cui hanno aderito, tra gli altri, l’Unione delle comunità ebraiche, le Comunità ebraiche di Roma, Milano e Torino, il Forum ostaggi “Bring them home”, Hadassah International, Partito Radicale, Sinistra per Israele, UN Watch – è rivolta a donne e uomini che hanno a cuore i diritti umani fondamentali. Un’occasione per dire che il 7 ottobre 2023, con la sua atroce saldatura tra antisemitismo, terrorismo e odio per il genere femminile, è una ferita per l’intera umanità, e per chiedere il rilascio delle decine di ostaggi – donne, uomini, bambini, anziani – tuttora nelle mani di Hamas.