l'editoriale dell'elefantino
L'orizzonte negato dalle manifestazioni con la kefiah
Le parole d’ordine di sempre, il vittimismo, la totale ignoranza delle circostanze. Ma quello che fa impressione è l’impossibilità di una generazione pro Ucraina e pro Israele
Leggere le cronache di piazza di questi giorni porta a un sentimento di vera incredulità. A parte la mancanza di fantasia civile e personale, il monotono ripetersi dell’identica kefiah, dello stesso assemblaggio di parole d’ordine di sempre, del vittimismo, del portamento da esclusi, e a parte la totale e programmata ignoranza delle circostanze, delle concatenazioni di causa e effetto, delle vere responsabilità nella tragedia dei civili a Gaza, a parte l’irrompere confuso del miscuglio ideologico woke e dei criteri di condotta woke nella fenomenologia anticoloniale delle masse in lotta contro il famoso genocidio, fa impressione nelle manifestazioni propalestinesi l’automatismo, quello che queste manifestazioni escludono dal loro orizzonte, l’impossibilità di una generazione pro Ucraina e pro Israele.
Da due anni e più agisce l’esempio di un popolo attaccato, falcidiato, massacrato, vilipeso e minacciato da un autocrate che parte da posizioni di forza, che minaccia la pace mondiale con l’arma della chiacchiera nucleare, che reprime ogni manifestazione di dissenso fino all’assassinio in carcere, e si impone da quei pulpiti con gli stucchi bianchi e le aquile imperiali posticce, propone quelle platee dell’assenso autoritario e quegli stadi da adunata fascista, avvelena la storia e la cultura russa in un pasticcio indigeribile di violenza e di provocazione. E quel popolo resiste come può, contrattacca, si difende, vince e perde, ottiene e non ottiene gli aiuti necessari per sottrarsi agli artigli dell’orso, ma questa verità non fa simbolo, attraversa appena i parlamenti occidentali per una breve stagione zelenskiana, riguarda parte delle classi dirigenti, nella società sollecita un orgoglio di minoranza che non buca lo schermo, che non deborda nelle piazze, che non si ammassa nella solidarietà politica e umana. Non si sono viste le strade pullulanti e le piazze e i comizi e le adunate giovanili e le occupazioni delle scuole contro la minaccia della guerra in Europa e il suo effettivo dispiegamento.
Così il 7 ottobre è scomparso dopo la visione dei video girati dagli stessi assassini e stupratori di Hamas, cancellato dall’algoritmo dei bombardamenti, dell’azione di terra contro il nemico, per sradicarlo e abbatterlo a garanzia della propria esistenza, impresa terribile che si svolge già sotto la minaccia da sette fronti diversi, nell’isolamento costitutivo di una indipendenza da difendere anche contro il nucleare imminente degli Ayatollah e dei loro eserciti di prossimità. Esaurito il dossier dello spavento per la atrocità di un pogrom, ecco che segue il vuoto mentale e emotivo coperto dall’evidenza dell’umanitarismo e perfino dai segni dell’antisionismo e dell’antisemitismo: come non ci sarà una generazione ucraina non ci sarà una generazione israeliana nel mondo occidentale, che resta sempre legato, nell’esperienza primaria dei giovani di Pisa, di Firenze, di Bologna, di Roma, di Milano e anche di Londra, di Parigi, dei campus americani, ai colori sbagliati di una bandiera sbagliata, perfino sanguinaria.
C’è un elemento di continuità con le guardie rosse di Servire il Popolo, con gli equivoci sulla violenza politica, con il fascino perverso del partito armato, con l’antiamericanismo degli anni del Vietnam, con la ricerca intellettuale e politica dei dannati della terra sul primo palcoscenico utile ai dittatori più efferati, alle ideologie dei domani che cantano la musica totalitaria del secondo Novecento. E’ incredibile che la scuola, la famiglia, la società, le biblioteche e le emeroteche, la tradizione orale, la trasmissione di conoscenze da una generazione all’altra, che tutto questo sia servito praticamente a nulla, e ancora oggi i colori dell’Ucraina resistente e quelli della stella di David siano la trascurabile entità da cui si può prescindere per manifestare invece per la liberazione della Palestina dal fiume al mare e per una pace che è resa alle pretese del Cremlino.
L'editoriale del direttore