L'editoriale dell'elefantino

A cosa dobbiamo rinunciare per sconfiggere il regime di Vladimir Putin

Giuliano Ferrara

L’occidente è spiazzato dalla tenuta granitica del presidente russo e del suo sistema di potere. E mentre la resistenza ucraina fa i conti con la realtà, per l’Europa l’unica possibilità di sconfiggere i russi è rinunciare a qualcosa

C’è chi affretta i suoi giudizi, come Emmanuel Todd autore del pamphlet “La sconfitta dell’occidente”, ma in certi passaggi aiuta a ragionare. In effetti quel che fa impressione, due anni dopo l’inizio della guerra di invasione in Ucraina da parte della Russia di Putin, è la stabilità russa, la stabilità granitica del regime. C’è stata una collettiva sottovalutazione della forza dei blindati, delle bandiere, delle crociate o guerre culturali, del dissotterramento della storia bugiarda, del nazionalismo popolare, dell’alleanza fra trono e altare, di un sistema di riferimenti e di una rete di complicità intercontinentali che stupisce per la sua irriducibilità dotata della forza degli interessi comuni, della funzione della polizia politica, del dominio sulla strada, sulle carceri, sulla giustizia farsesca nelle mani del potere civile. A Mosca è stata eliminata, perfino dopo una mezza crisi militare con i mercenari della Wagner, ogni forma di opposizione, ogni movimento nell’opinione, ogni dinamica sociale, economica, culturale, e fisicamente cadono nell’oscurità e nel freddo i soggetti simbolici che incarnavano il dissenso. Abbiamo pensato che certe conquiste commerciali, la globalizzazione dei costumi, le vie di transito delle materie prime, il blocco finanziario delle sanzioni, l’autodifesa energetica vittoriosa, gli hamburger e la moda e la tecnologia di largo consumo fossero un’arma formidabile capace di incutere paura a un sistema oligarchico e cleptocratico di sfrontata insolenza verso i russi e il mondo, ma fragile e periclitante. Abbiamo coltivato l’illusione che l’unità dell’occidente euroatlantico fosse un deterrente sufficiente per fermare il pugno di Putin e dell’Fsb. Invece no. Non è stato sufficiente.
 

L’occidente non è sconfitto, ma ha i nervi a fior di pelle, il Congresso americano mostra divisioni letali per un popolo che finisce disarmato nel momento supremo della difesa nazionale e democratica, tutto era cominciato con l’offerta a Zelensky di un passaggio sicuro verso la salvezza personale, ora che è a corto di munizioni e di sostegno si vede nel simbolo del riscatto un idolo protervo della corruzione e della carneficina che si poteva evitare, l’Europa è meno unita di quanto non sia sembrato e sopra tutto meno potente e deterrente di quanto non si potesse immaginare, gli applausi dei parlamenti e i pacchetti di sanzioni e la fornitura di armi ora valgono quello che valgono nella fatica ucraina, mentre gli stucchi del Cremlino mostrano un apparato con i nervi d’acciaio, e l’autocrate si permette sarcasmi, lusinghe, minacce e blandizie che solo un ciclo serrato, ultimativo e tenace del potere magico e personale, un’intera epoca che supera quella del dominio dei papi longevi, può consentire. Qui le opinioni si muovono, si intrecciano, si fanno elezioni libere, c’è campo per posizioni che si identificano con il nemico bellico, non esistono se Dio vuole censura e repressione, le diplomazie sondano e lanciano messaggi felicemente contraddittori, i militari stanno al loro posto, la divisione dei poteri impedisce grumi di iperpotere, tantomeno personale, anzi, le ambizioni personali e i meccanismi mediatici di formazione dell’opinione senza oggetto fanno leva sul putinismo istintivo, naturale, di grandi folle elettorali stanche dei riti della democrazia liberale, convinte dell’uomo forte solo al comando e dell’efficacia del suo effetto di padronanza sull’insieme della società. Ci vuole poco a trasformare una vera resistenza in una favola per piccoli, un capo che ispira e suscita in un piccolo ebreo ambizioso e vanitoso, un esercito di popolo dal coraggio cosacco e miracoloso in un coacervo di rivalità personali, e la storia della Crimea graziosamente concessa e poi dei referendum di annessione dei territori del Donbas, la storia della martirizzazione e ricostruzione ostentata e vetrinistica di Mariupol, le storie di mare e di terra della guerra europea simmetrica e asimmetrica, ecco, trasformare tutto questo in un’epopea della sconfitta e del disonore e della inutile tigna contro il più forte è un attimo.
 

Per combattere il terrorismo islamista abbiamo rinunciato a parte delle nostre libertà, per combattere il terrorismo missilistico di un regime stabile e molesto, aggressivo e strafottente, e del suo enorme cerchio di alleanze pericolose, non abbiamo pensato che fosse doveroso rinunciare ad alcunché, e questo è il risultato provvisorio, che solo un’Europa germanizzata e proiettata verso il suo oriente sotto minaccia e un’America liberata dall’incubo impostore di Trump potranno riscattare.

 

Lo speciale del Foglio per i due anni dall'invasione russa

 

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.