Lorenzo Guerini (LaPresse)

retroscena

I segnali (e le trame) di Guerini, che agli eventi Pd non si fa vedere

Ruggiero Montenegro

Il deputato riformista dem, che presiede il Copasir, non c'era a Gubbio e nemmeno alla Camera in occasione della presentazione del libro di Speranza. Dal caso Bigon all'Ucraina, manda messaggi a Schlein e cerca sponde nei cattolici. In attesa delle europee

Manda messaggi, smarcandosi. Evita le foto di gruppo, va centellinando le parole. Tanto che nell’area più vicina alla segretaria Elly Schlein hanno cominciato a chiedersi: cosa ha in testa Lorenzo Guerini? Le sue assenze non sono passate inosservate. 

Il deputato, che presiede il Copasir, durante la due giorni dem a Gubbio non si è fatto vedere. Non c’era nemmeno martedì alla Camera, in occasione della presentazione del libro di Roberto Speranza. Nonostante tutto lo stato maggiore dem, presente e passato, si fosse radunato attorno a  Schlein, in duetto con Giuseppe Conte. E probabilmente meglio così, dicono le malelingue in Transatlantico. L’ex ministro della Difesa, di stanza in via Venti Settembre proprio durante il governo Conte 2, non nutre grosse simpatie per quello che fu il suo premier. “Non mi occupo di tricologia”, ha detto ieri ai cronisti che gli chiedevano del del leader M5s. “Bellicisti? Non capisco di cosa parla. Se fossi stato presente gli avrei risposto, pacatamente, che il Pd è stato ed è dalla parte della difesa della libertà e della sovranità dell’Ucraina, dalla parte del diritto internazionale. Senza esitazioni o ambiguità”, ha aggiunto in una delle sue rare dichiarazioni. Rispondeva a Conte, avvertiva Schlein (che ieri finalmente un colpo contro il M5s  l’ha battuto). D’altra parte, l’ala riformista dem non ha gradito il pasticcio delle mozioni sulle armi a Kyiv. In quell’occasione Guerini si è smarcato,  non solo lui, votando anche il documento presentato dalla maggioranza, su cui invece il mandato del Nazareno era l’astensione. La posizione atlantista, non è un mistero, è una delle linee rosse per il capo di Base riformista (o almeno di quel che ne resta). 

Un’insofferenza simile si era manifestata anche un paio di settimane fa, a proposito del caso Bigon e della legge sul fine vita in Veneto. “La disciplina di partito, sui temi eticamente sensibili, non può sovrastare la libertà di coscienza”, ammoniva Guerini sconsigliando provvedimenti contro la consigliera veneta, in quanto “negherebbero un principio che è stato alla base, fin dall’inizio, del nostro partito”. Parole ponderate, che si univano a quelle del senatore di area cattolica Graziano Delrio. La spia di trame e movimenti che per ora si stagliano nell’ombra. 

I due, Guerini e Delrio, ormai da qualche giorno starebbero sondando interessi e disponibilità tra i parlamentari dem. Per fare cosa, ancora non si sa. Qualcuno pensa a una nuova, ennesima corrente. O quantomeno a un’area culturale  – adesso pare si dica così – in cui quelli che oggi sono minoranza possano farsi sentire, di più e meglio. Molto, dell’esito e degli sviluppi di queste interlocuzioni, passerà dalle prossime europee dove Guerini conta di giocare un ruolo di primo piano. Non scenderà in campo in prima persona, ma forte dei voti che può garantire nelle circoscrizioni del nord, punta a rilanciare la sua centralità e a inserire nelle liste alcuni dei suoi uomini e donne di riferimento. In Parlamento si parla della ricandidatura di Elisabetta Gualmini e c’è chi fa il nome dell’ex parlamentare Lello Topo. Ci sono poi gli amministratori vicini al riformismo: il sindaco di Bergamo Giorgio Gori e quello di Bari Antonio Decaro  (di cui il presidente del Copasir ha spesso condiviso le battaglie in Anci), oltre a chi si è schierato con Bonaccini nella battaglia congressuale. 

Per questo Guerini starebbe temporeggiando, dietro le quinte e senza avanzare, limitandosi a lanciare segnali. In attesa, insomma,  di capire se le sue prerogative saranno effettivamente riconosciute sulla strada per Bruxelles. Se così fosse il malumore di queste settimane potrebbe  sopirsi, almeno per un po’, almeno fino al 9 giugno. Poi saranno  le urne a parlare e  nel caso in cui il risultato non fosse quello sperato per il Pd si aprirà un’altra volta la stagione della caccia al segretario. E Guerini, di certo, non ha intenzione di stare a guardare.
 

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