La sinistra della disuguaglianza: buoni consigli e cattivo esempio

Luciano Capone

Orlando accusa la destra, ma Meloni ha fatto scelte più progressive del Pd al governo: il taglio del cuneo ai redditi medio-bassi aumenta la redistribuzione, al contrario del Superbonus che ha rifatto le case ai ricchi coi soldi dei poveri

Sarà la comune origine ligure, ma quando parla Andrea Orlando tornano immediatamente in mente i versi di De Andrè sulla gente che dà buoni consigli quando non può più dare cattivo esempio. “Il governo Meloni ha adottato misure che hanno già cominciato ad accentuare le disuguaglianze sociali, molto più di quanto non abbia fatto il Covid”, dice l’ex ministro del Lavoro in un’intervista alla Stampa. L’esponente del Pd denuncia “una strategia” che cerca di “difendere la competitività sulla pelle dei lavoratori”. Quanto agli imprenditori, invece, la sinistra deve avviare un dialogo proponendo “la riforma del capitalismo e il futuro dell’impresa”.

 

Vaste programme, già di per sé difficile da realizzare, ma poco credibile se a proporlo è chi negli ultimi dieci, ai vertici del governo o del partito di governo, ha fatto il contrario. L’affermazione, ribadita più volte anche dalla segretaria del Pd Elly Schlein, sulla politica economica del governo Meloni che avrebbe aumentato le disuguaglianze è tanto perentoria quanto falsa.

 

La legge di Bilancio, appena approvata, è composta per circa i due terzi (15 miliardi di euro) da due misure, il taglio del cuneo contributivo e la riforma dell’Irpef, che complessivamente riducono la disuguaglianza e aumentano la progressività del sistema. Su questo c’è poco da discutere. Parlano chiaro le analisi della Banca d’Italia, dell’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb) e dell’Istat, tre organismi indipendenti che, ognuno usando il proprio modello di microsimulazione, sono giunti alla stessa conclusione sugli effetti redistributivi della manovra.

 

L’impatto principale proviene dallo sgravio contributivo di 7 punti percentuali per i redditi sotto i 25 mila euro annui e di 6 punti fino a 35 mila, che taglia 10,8 miliardi di euro di tasse a circa 14 milioni di lavoratori. Mentre è meno rilevante l’effetto del cosiddetto “primo modulo” della riforma fiscale, che taglia l’Irpef di due punti ai redditi tra 15 e 28 mila euro e, al contempo, sterilizza i benefici per i redditi oltre i 50 mila euro, che vale 4,3 miliardi. Secondo l’analisi della Banca d’Italia di queste misure beneficiano tre famiglie su quattro e principalmente quelle più povere: “Le famiglie tra il secondo e il sesto decimo della distribuzione del reddito beneficerebbero degli aumenti più cospicui” con l’effetto complessivo di “una lieve riduzione della disuguaglianza dei redditi disponibili, l’indice di Gini diminuirebbe di 0,3 punti percentuali”.

 

L’Upb, nella sua audizione sulla manovra, giunge alle stesse conclusioni: “L’effetto redistributivo derivante dall’applicazione congiunta della revisione dell’Irpef e della decontribuzione è complessivamente progressivo”. Il fiscal council utilizza altri parametri, derivati dall’indice di Gini come l'indice di Reynold-Smolensky e indice di Kakwani, per certificare che le due misure di taglio del cuneo fiscale fanno aumentare sia la capacità redistributiva sia la progressività del sistema fiscale. L’Istat, pur misurando un effetto leggermente più contenuto rispetto alla Banca d’Italia, conferma che l’effetto congiunto dei due interventi è “progressivo”.

 

Di certo lo è di più della riforma fiscale del governo Draghi, di cui Orlando era ministro, che ridusse da cinque a quattro le aliquote Irpef tagliando 7 miliardi di tasse ai redditi medi e 0,8 punti di contributi ai redditi medio-bassi (poi alzati a 2 punti percentuali). Per non parlare di agevolazioni come la “flat tax per i ricchi”, ovvero l’imposta forfettaria per i paperoni stranieri (tipicamente i calciatori, ma non solo) che spostavano la residenza in Italia, approvata dal governo Renzi quando Orlando era ministro.

 

Non meno sorprendenti sono le altre affermazioni del dirigente del Pd. Ad esempio quella secondo cui la mancata approvazione, da parte del governo Meloni, del “salario minimo” farebbe parte di una “strategia” che punta su “bassi salari e dumping sociale”. Perché in tutti gli anni in cui Orlando è stato al governo, l’ultimo da ministro del Lavoro, si è guardato bene dal proporre l’introduzione del “salario minimo” che ora sostiene. Ma ancora più interessante è il riferimento all’assenza di una “politica industriale” che, appunto, dovrebbe contrastare le disuguaglianze e la svalutazione del lavoro.

 

Perché, sempre a proposito di buoni consigli e cattivo esempio, l’Italia sta ancora adesso pagando le conseguenze di quella mastodontica “politica industriale” chiamata Superbonus realizzata quando il Pd era al governo. Quella “allucinazione collettiva”, come l’ha definita il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che è costata circa 130 miliardi tra Bonus 110 per cento e Bonus facciate. Facendo un confronto con la decontribuzione del governo Meloni, che costa 10 miliardi all’anno, con i soldi dei bonus edilizi il Pd avrebbe potuto tagliare le tasse a 14 milioni di lavoratori con salari medio-bassi per 13 anni. Invece, ha preferito rifare il 3-4 per cento degli immobili, generalmente dei benestanti.

 

A dispetto di tanta retorica sulla diseguaglianza e di altrettanti convegni sulla progressività, quando il Pd ha governato, con Orlando vicesegretario o ministro, ha approvato misure fortemente regressive. Mentre predicava patrimoniali per togliere ai ricchi e dare ai poveri, ha introdotto una “patrimoniale inversa”: ha fatto ristrutturare le case ai ricchi coi soldi dei poveri, dicendo che si poteva fare “gratuitamente”. E ora che “No hay plata” accusa la destra perché non mette abbastanza risorse per la sanità, i lavoratori e il piano casa per i poveri. Buoni consigli, dopo il cattivo esempio.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali