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l'analisi

Dietro al litigio Schifani-Salvini sul Ponte c'è una svolta sulle regioni: meno poteri, grazie

Giorgio Santilli

Nella contesa tra il ministro e il presidente della Sicilia c'entra l'utilizzo del Fondo sviluppo coesione, che potrebbe rivoluzione il rapporto tra governo ed enti locali

Il “niet” di Renato Schifani alla imposizione del Mef di accollare alle Regioni Sicilia e Calabria non un miliardo ciascuno, come concordato, ma un miliardo e 300 milioni del costo complessivo del Ponte sullo Stretto di Messina, quantificato in 11,6 miliardi, potrebbe essere derubricato, a prima vista, a banalissimo conflitto di contabilità economica. Se il Mef ha bisogno in questo periodo di recuperare fondi un po’ per ridurre il peso della grande opera sul bilancio dello Stato (come è scritto nella norma originaria), un po’ per garantirsi qualche flessibilità nella trattativa con la maggioranza sugli emendamenti alla legge di bilancio, non meraviglia che il governatore siciliano si opponga, visto che, per altro, sulla questione non è stato interpellato preventivamente e non si può dire che il tutto sia avvenuto nel rigoroso rispetto del galateo istituzionale. Fa parte del gioco politico anche che il sindaco giallorosso (nel senso di Pd-M5S) di Catanzaro Nicola Fiorita monti sulla polemica interna alla maggioranza per dire a Salvini che “si costruisca il suo giocattolo con i soldi della Padania”. Più serio, invece, il dettaglio, solo apparentemente tecnico, del Fondo che sarà utilizzato per coprire le quote regionali del Ponte, il Fondo sviluppo coesione (Fsc), perché questo dettaglio ci racconta tutta un’altra storia, una storia molto più complessa.

Anzitutto, questo Fondo – che è un finanziamento nazionale distribuito alle regioni per finanziare progetti regionali e locali di coesione (in misura dell’80 per cento alle regioni del sud) – vale al momento 32 miliardi disponibili e ha ormai due titolari di fatto: uno è il presidente della singola regione, che fino a ieri era l’arbitro pressoché esclusivo della scelta degli interventi cui destinare i finanziamenti; l’altro è il ministro del Sud e della coesione, che nel caso specifico è Raffaele Fitto e che ha appena varato una riforma radicale con il decreto-legge 124, approvato dal Parlamento a ottobre. La riforma Fitto accentra pesantemente la gestione del Fondo sviluppo coesione, ridando il boccino sulla distribuzione delle risorse e sulla scelta della destinazione delle risorse al governo, in particolare al ministro del Sud, cioè a se stesso. Fitto ha una vecchia consuetudine con questo strumento, da ex presidente di regione del sud e da ex ministro degli Affari regionali. Diciamo che è un “tesoretto” che, nella sua lunga carriera, non ha mai perso di vista. La storia del Fsc è un lungo travaglio, dall’istituzione dovuta negli anni 90 a Pierluigi Bersani che voleva farne la seconda gamba della programmazione dei fondi strutturali europei, ai tempi in cui l’ex ministro Tremonti lo usava come un “bancomat” per coprire le esigenze più disparate del Mef, al più recente “Piano Sud 2030” mai decollato. Ma è evidente che quest’ultimo colpo di teatro della riforma Fitto ha profondamente irritato le Regioni che mantengono un potere di veto molto indebolito sulle risorse, nel senso che comunque la scelta dei programmi da finanziare passa per “accordi di coesione” fra singolo governatore e Fitto. 

 

Chi dà le carte è però Fitto che già nella partita sulla revisione del Pnrr aveva promesso a Salvini di dargli una mano con il finanziamento del Ponte sullo Stretto. La stessa disponibilità Fitto l’ha data nei giorni scorsi a Giancarlo Giorgetti. Il ministro del Sud dimostra così di muoversi come il titolare unico del Fsc e ha quindi pensato di poter “regalare” – probabilmente pressato da Palazzo Chigi - al ministro dell’Economia 600 milioni per facilitargli la vita nel passaggio parlamentare della legge di bilancio. La cosa ha irritato profondamente Schifani, un uomo che molto di rado ha preso posizioni plateali contro la sua parte politica. La vera ragione dell’irrigidimento di Schifani e le parole pesanti del governatore siciliano con il Ponte hanno poco a che fare. Quella di questi giorni è stata, invece, la prima scena di un film nuovo che non piace ai governatori e che diventerà il centro della politica economica: non a caso Fitto insiste nel dire che la programmazione dei fondi di coesione deve essere complementare alla programmazione Pnrr. Da lì dovrebbero arrivare anche le risorse per finanziare i progetti comunali stralciati dal Pnrr. Altra storia che ai governatori non piace affatto. Schifani ha preferito farlo capire subito e ha mandato un avvertimento a Fitto e al governo sulla forma e sulla sostanza della ripartizione dei suoi 6 miliardi di Fsc.