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la farsa d'una commissione

Se la destra avvia un'inchiesta sul superbonus, finisce indagata lei

Salvatore Merlo

Ogni partito si costruisce la sua commissione, e intende usarla come un maglio per colpire gli avversari, spesso però secondo misteriosi calcoli e rimbalzi. Forse non del tutto calcolati

L’idea è geniale. Poiché il Superbonus 110 per cento è stato all’origine di un’innumerevole quantità di truffe, e poiché l’esborso multimiliardario ha di fatto contribuito al deficit e alla crescita del debito pubblico nonché all’ipoteca su ogni manovra finanziaria da qui ai prossimi sei anni, ecco che nella maggioranza hanno trovato la seguente brillante escogitazione: sai che facciamo? Facciamo una bella commissione parlamentare d’inchiesta e così, intanto che si avvicinano le elezioni europee, tiriamo pure una botta a Giuseppe Conte che del Superbonus è il papà. Se non fosse, tuttavia, che se Conte è il papà del superbonus, ecco bisogna anche ricordare che Salvini è la mamma, e Giorgia Meloni è un po’ la zia acquisita. Infatti il benedettissimo provvedimento che ha sfasciato i conti e ci ha avvicinato alle finanze pubbliche dello Zimbabwe fu sì opera di Conte e di Roberto Gualtieri ministro dell’Economia del Pd, ma quando il bonus fu prorogato da Mario Draghi c’era la Lega che festeggiava al governo mentre Fratelli d’Italia, che stava all’opposizione, s’era battuta contro ogni ipotesi di revisione (al ribasso): “Così fermate il motore dell’economia”. Anzi, la loro proposta consisteva in una mega estensione: se i condomìni possono rifarsi le facciate, perché non possono farlo anche gli alberghi e i ristoranti. Più Superbonus per tutti!  E dunque, come ben si capisce, questa commissione parlamentare d’inchiesta, nata per colpire Conte e il Pd, finirebbe col coinvolgere anche il centrodestra. Un po’ come accadde a Matteo Renzi quando inaugurò la mitologica commissione sulle banche. Doveva essere la sordina sul caso banca Etruria, finì che non si parlò d’altro che di Banca Etruria. Ovviamente.

L’espressione “ci vuole una commissione d’inchiesta” da sempre corre in Parlamento, e tra i nostri allegri politici, con la stessa disinvolta impudicizia d’una danzatrice che si dimena in un baraccone da fiera. La Seconda Repubblica iniziò con una commissione d’inchiesta, battezzata Mitrokhin, con la quale Silvio Berlusconi voleva dimostrare, sintetizziamo brutalmente, che il Pds aveva preso soldi (e non solo) dall’Unione sovietica. Quella che è oggi una verità storica indiscussa, divenne allora, grazie al contributo dei nostri parlamentari che amano la farsa e la confusione più delle loro mogli e dei loro mariti, una sagra della fetecchia e della pernacchia tra comiche audizioni, acrobatiche esposizioni di dubbi documenti, polemiche e petardi che mandarono in burla la storia dello spionaggio sovietico in Italia e la vicenda dei rubli di Mosca raccontata da Gianni Cervetti.

Da tempo pensiamo che fra le tante meraviglie naturali e artistiche che rendono unico il nostro paese, un posto di notevole rilievo spetti infatti alle commissioni parlamentari d’inchiesta di cui vantiamo la più alta percentuale al mondo. Roba che senza dubbio meriterebbe di entrare nelle guide del Touring assieme all’Arena di Verona e all’Orecchio di Dionisio a Siracusa. Ogni partito si costruisce la sua commissione, e intende usarla come un maglio per colpire gli avversari, spesso però secondo misteriosi calcoli e rimbalzi. Forse non del tutto calcolati, per la verità. Non c’è una sola commissione d’inchiesta che lanciata come un martello olimpionico non finisca per riprecipitare in testa a chi la scagliava. Oggi il Pd ha la commissione sui morti sul lavoro, e pensa di poter così colpire Meloni. Renzi e la destra hanno quella sul Covid, e pensano di colpire Conte e Speranza. Calenda ha quella su Emanuela Orlandi... e pensa di poter guardare Netflix con maggiore sicurezza. Il centrodestra adesso si fa pure quella sul Superbonus. E c’è da dire che questa legislatura è particolarmente benedetta dall’abbondanza, ma resta il fatto che con queste commissioni sai dove inizi, ma non sai mai dove finisci, specialmente se vuoi indagare su quel Superbonus che è stato voluto e difeso praticamente da ogni singolo partito italiano. Compreso quello della zia Giorgia.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.