LaPresse 

La road map per il dopo Europee

Il nuovo Ulivo, l'idea del “federatore”, il nome di Gentiloni. Parlano Castagnetti e Fioroni

Marianna Rizzini

Secondo i fondatori dem la sinistra di oggi deve saper "essere percepita come alternativa di governo" senza cedere alle "alchimie"

“Dopo le Europee bisognerà costruire un nuovo Ulivo”, ha detto qualche giorno fa Pierluigi Castagnetti, ex ministro, ultimo segretario del Ppi, già parlamentare ed esponente della Dc e del Pd, nel corso di un convegno all’Istituto Luigi Sturzo. Nuovo Ulivo, dunque, ma come e con chi? ci si domanda a sinistra, dove, da qualche giorno, nell’area non schleiniana del Pd, c’è chi pensa in prospettiva a Paolo Gentiloni per il ruolo di futuro “federatore” e chi, come l’ex premier e leader di Iv Matteo Renzi (oltre a qualche dirigente pd), sembra pensare al sindaco di Milano Beppe Sala.

Gentiloni, con i suoi contatti internazionali, in particolare, ricorre nei ragionamenti. “Ho pensato che fosse il momento giusto per riaprire intanto il dibattito su questo tema”, dice al Foglio Castagnetti: “L’ho detto e lo ribadisco: il nostro problema non è soltanto quello di fare opposizione, ma anche e soprattutto quello di essere percepiti come alternativa di governo. Oltre ad avere validi contenuti, quindi, e oltre a mettere a punto una nostra agenda, dobbiamo anche numericamente essere percepiti come candidati credibili a competere alle prossime elezioni. Per fare questo, bisogna prima costruire all’opposizione un’area unitaria e ampia, superando l’attitudine a rincorrersi sul filo dello 0,5 in più nei sondaggi”. Cominciare subito, aspettare? “Penso sia opportuno che questo processo entri nel vivo soltanto dopo le Europee, in modo che non sembri frutto del risultato del voto, positivo o negativo”, dice Castagnetti: “Siamo in un periodo simile al 1995, l’anno successivo alla vittoria di Silvio Berlusconi. Romano Prodi aveva costruito una convergenza. È chiaro che, se nessuno dei leader delle attuali forze riuscirà a fare una cosa simile, bisognerà pensare a un federatore esterno”.

Nomi? “Anche se ho in mente una serie di nomi, credo non sia giusto chiedere all’eventuale candidato di esporsi ora. Ma intanto possiamo preparare il terreno, e prima di tutto dobbiamo essere appunto percepiti come alternativa di governo”. Beppe Fioroni, ex ministro ed esponente storico della Margherita prodiana, poi tra i fondatori del Pd, partito che ha lasciato dopo l’elezione di Elly Schlein alla segreteria, pensa che l’Ulivo del 1996 “abbia rappresentato una speranza condivisa e una sintesi di valori e progetti che hanno creato una comune identità e generato un senso di appartenenza. Ma il contesto politico era molto diverso da quello di oggi. E credo che ogni riedizione di formule del passato, costruita in laboratorio, porti a un qualcosa che rischia di non funzionare”. Neanche con un federatore? “Oggi c’è bisogno di più politica”, dice Fioroni, “e di uno sforzo che punti alla riscoperta della coalizione da parte di soggetti ben individuati, coalizione in cui si incastonino valori, progettualità, anime. Ma affidarsi alle alchimie, anche con il miglior stregone, fa sì che ci si ritrovi di fronte pur sempre a un’alchimia”. Ricorda, Fioroni, la lettera che Luigi Sturzo scrisse a Stefano Cavazzoni poco prima di fondare il Partito Popolare: “ ‘Abbiamo bisogno di una differenziazione’, scriveva Sturzo. Ecco, credo che la differenziazione sia la chiave che potrebbe permetterci di non restare prigionieri di una politica che esige, da parte nostra, qualcosa di diverso dalla conquista del potere. Non mi convince insomma il ritornello ‘a volte ritornano’. Alla fine non tornano mai”. Piuttosto, dice Fioroni, “ora è il momento, ripeto, di concentrare le forze sulla coalizione”. Non tutti sono d’accordo, nel centrosinistra, viste anche le mosse del leader del M5s Giuseppe Conte. “A questo serve il ‘di più’ di politica di cui parlo, per arrivare alla sintesi di quello che si può realizzare insieme”. 

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.