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l'editoriale del direttore

Un vuoto chiamato Elly Schlein

Claudio Cerasa

Ambiguità. Confusione. Agenda del non senso. La relazione della leader Pd è un perfetto manifesto di impotenza politica e illumina una leadership che in attesa di avere un futuro sembra essere già diventata il passato

La relazione tenuta ieri da Elly Schlein alla direzione nazionale del Partito democratico offre una fotografia utile per ragionare attorno allo stato di salute del più importante partito d’opposizione. La direzione doveva essere un’occasione per fare chiarezza, per indicare una strategia, per delineare una traiettoria, per mettere in campo una gagliarda visione del futuro. Ancora una volta, però, dinanzi al tentativo ambizioso di spiegare se stessa, Schlein si è presentata di fronte ai suoi interlocutori in versione slime. Lo slime, come sanno tutti i genitori che il sabato mattina spendono senza rendersene conto cospicui patrimoni nelle edicole di quartiere, è una sostanza gelatinosa, viscosa, che sguscia via, che non aderisce alle superfici e che tende a non avere forma. Elly Slime, nel suo lungo ragionamento di ieri, ha offerto la stessa impressione. Discorsi vuoti. Concetti astratti. Parole a vanvera. Concretezza zero. L’ambigua socialconfusione messa in campo dalla leader del Pd non la rende però una paladina dell’anti politica ma la rende la regione nazionale della non politica. L’anti politica, come ha potuto facilmente registrare chiunque abbia seguito il Movimento 5 stelle in questi anni, aveva un’agenda precisa, aveva obiettivi definiti, aveva progetti cristallini. Progetti detestabili ma ambiziosi che coincidevano con una precisa idea dell’Italia. L’Italia che sogna Elly Schlein, invece, è un’Italia a-politica, senza fuoco, vuota, senza direzione, intrappolata nell’agenda del nonsense, ed è un’Italia perfettamente e drammaticamente sintetizzata ieri dalla segretaria con una formula alla quale immaginiamo la cerchia stretta della leader del Pd avrà lavorato giorno e notte: “Sogniamo un nuovo piano industriale per stare a testa alta nelle transizioni”. L’Italia sognata da Schlein è, nel migliore dei casi, un’Italia che esiste come proiezione delle ombre proiettate da Meloni e Salvini. Nel peggiore dei casi, invece, è un’Italia che cerca un modo come un altro per declinare gli unici tre concetti concreti, si fa per dire, enunciati dalla leader del Pd con la stessa empatia contenuta in un algoritmo: più lavoro, più giustizia sociale, più conversione ecologica. 

La socialconfusione di Elly Schlein non è però solo un mix letale tra una politica costruita sul modello ChatGPT e una leadership impostata sul modello slime. Ma è qualcosa di peggio. Perché mostra una totale indifferenza rispetto a una china  pericolosa che sta prendendo la leader del Pd: andare sistematicamente contro il suo partito, contro la sua storia, contro la sua cultura, contro la sua stessa constituency. Il Pd è un partito che si trova oggi all’opposizione, ovvio, ma è un partito che da sempre esprime vocazione di governo. E solo una leader come Schlein, che nella sua storia il massimo che ha amministrato ai tempi della vicepresidenza dell’Emilia-Romagna ha coinciso con il non fortunatissimo coordinamento interassessorile delle politiche di prevenzione e adattamento ai cambiamenti climatici e per la transizione ecologica dell’Emilia-Romagna, può non accorgersi di quello che sta combinando il suo partito.

Sulla giustizia, sta regalando il garantismo alla destra, per la disperazione degli amministratori locali del Pd. Sull’economia, sta regalando alla destra le battaglie sulla crescita, parola misteriosamente tabù per la leader democratica. Sui diritti, sta regalando alla destra anche battaglie non di destra come il tema del no alla surrogata, battaglia trasversale come dimostra il no alla Gpa portato avanti con orgoglio in campagna elettorale dal partito socialista spagnolo. E anche sulla difesa dell’Ucraina, nonostante una qualche buona volontà mostrata ieri da Schlein sul tema – “Putin è un criminale”, “serve una pace giusta”, “su Kyiv pieno supporto del Pd, anche con aiuti militari" – il Pd continua a vivere ostaggio di una assoluta ambiguità che sta incredibilmente consentendo al centrodestra ex putiniano di risultare come l’unico vero baluardo italiano sul fronte della difesa dell’Ucraina dall’invasione del terrorismo russo (sul nuovo piano di Bruxelles per rifornire di munizioni Kyiv, il Pd di Schlein, a maggio, ha scelto di non votare a favore, e la scorsa settimana il Pd di Schlein, in dissenso dal gruppo dei socialisti europei, ha scelto di non votare a favore di una risoluzione finalizzata a chiedere  “agli alleati della Nato di onorare il loro impegno nei confronti dell’Ucraina e di spianare la strada all’invito di adesione all’Alleanza Atlantica”). “Se si tenta di rappresentare tutto e il contrario di tutto si rischia di non rappresentare più nessuno”, ha detto a un certo punto della sua relazione la segretaria del Pd. Voleva essere una critica contro i mugugnatori interni. Chissà se  la segretaria si è resa conto che mentre sussurrava quelle frasi l’algoritmo, lo Schlein GPT, aveva appena aiutato involontariamente gli astanti a inquadrare con parole perfette il senso di una leadership che in attesa di avere un futuro sembra essere già diventata passato.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.