Patto di stabilità

Giorgetti si blinda dalla Lega: "Sul Mes deve decidere il Parlamento"

Carmelo Caruso

Si fa audire in Commissione e dice che è pronto a non firmare il patto (che vuole firmare). Il timore che dopo l'eventuale accordo venga pugnalato in aula dagli anti euro: "Non mi lascio crocifiggere"

Per dire che vuole l’accordo, dice che questo accordo non lo firma. Giancarlo Giorgetti, il nuovo Patto di stabilità, al momento, lo rifiuta. E’ dunque certo che lo accetti. Domani vola in Europa, all’Ecofin, e d’intesa con Meloni, spiegherà ai suoi omologhi che “non prende impegni che non può mantenere”. Audito dalle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, ricorda che “sul Mes si esprimerà il Parlamento”, che su “deficit e debito, la migliore risposta è la serietà”. L’Italia minaccia un  veto, di carta, dato che, per Giorgetti, “rispetto a regole impossibili non credo si possa dire  sì”. E’ solo un trucco di scena. Informando le Commissioni spera di aver disarmato i samurai anti euro d’Italia perché, e lo confida ai suoi amici di lago, quelli di Varese, “non voglio poi fare la fine di Gualtieri, non mi lascio crocifiggere”.


Se Giorgetti, un giorno, non dovesse più fare il ministro, come chirurgo sarebbe straordinario. Ha prima chiesto l’audizione alle Commissioni Bilancio, poi si è presentato con una relazione che somigliava a quei moduli che vi fanno firmare prima di entrare in sala operatoria per togliervi l’appendice. Doveva riferire sul nuovo Patto di stabilità, sullo stato della trattativa ed è stato impeccabile. Lui che c’entra? Alla fine, e lo ha ricordato, “non posso prendere impegni che poi il Parlamento non ratifica, perché la decisione finale non è del ministro dell’Economia, la parola è del Parlamento”. La notte c’è un fantasma che passa a trovarlo. E’ il sindaco di Roma, l’ex ministro Gualtieri. Andava a Bruxelles, firmava il Mes, poi tornava in Italia, a Roma, e i parlamentari del M5s e della Lega lo sputacchiavano. Per evitare che si ripeta, Giorgetti ha parlato alle Commissioni e da giorni prepara quest’evento per blindarsi dagli sputacchiatori futuri. Sono in realtà solo prove di blindatura, esercizi, dato che la Commissione non vota ma relaziona solamente. Per Giorgetti è però “un atto politico”. Teme che una volta messa la sua firma al nuovo patto, quando si dovrà ratificare il Mes, finisca in Aula massacrato. Ai suoi compari di partito, i senatori Borghi e Bagnai, era a loro che guardava, ha spiegato che sulla riforma, in Europa, “non c’è un quadro condiviso” e che, “la previsione di ulteriori vincoli rispetto a quanto proposto dalla Commissione europea potrebbe portare a un esito non pienamente conforme agli obiettivi della riforma”. Neppure i primari di nefrologia parlano così forbito.

 

Alla fine, dopo aver accarezzato i B&B della Lega, dopo avergli raccontato che sta negoziando il meglio possibile, che “la riduzione del debito di un punto l’anno non deve farci paura”, e che, ancora, “l’accordo si trova se altri 27 paesi sono d’accordo con te”, li ha salutati dicendo che sugli investimenti per la difesa, “mitigati” nel computo del deficit, abbiamo già in parte ottenuto un successo. Con Borghi, il senatore che ha una passione per il Giappone, il paese che ha il debito più alto del mondo, 258 per cento (“siamo destinati a evolvere nel debito, il nostro futuro somiglierà al Giappone” immagina Borghi, il profeta) ha tentato l’impossibile. Voleva fargli stare simpatica perfino Ursula von der Leyen che, raccontava Giorgetti, si è detta d’accordo a tener conto delle spese per la difesa, la difesa dell’Ucraina, anzi, continuava, si “è spinta oltre e le spese di difesa, nel futuro accordo, potranno essere considerate anche meglio”. L’Ecofin è convocato per l’otto dicembre, ma la cena decisiva tra i ministri dell’Economia si terrà il sette.

 

A Bruxelles tutti scommettono che giorno otto l’accordo non ci sarà e che dovranno essere i premier a trovare il compromesso al Consiglio europeo. C’è una bozza. Prevede, per gli stati come l’Italia, che hanno un deficit sopra il tre per cento, un “aggiustamento di bilancio minimo pari allo 0.5 per cento del pil”. Il percorso di aggiustamento può durare fino a sette anni, ma come raccontava Giorgetti, “deve essere accompagnato da un “impegno dello stato membro a realizzare investimenti e riforme ambiziosi, che contribuiscano a innalzare la crescita potenziale e migliorare la sostenibilità del debito pubblico”. Che destino difficile deve essere quello di un ministro che trova conforto nei deputati dell’opposizione e una mazza da baseball da parte dei suoi compari. Luigi Marattin di Italia Viva, con un garbo da conte, ha chiesto al ministro come si possa fidare una nazione come la Germania di un’altra nazione, l’Italia, che gli chiede di fare una cortesia sul mercato tutelato dopo aver ricevuto il malloppo del Pnrr. La verità, quella che Giorgetti deve celare, è che l’Italia vuole l’accordo, anzi “lo cerca”, un accordo onesto, che può rispettare, mentre i suoi compari lo incitano a fare il mazzo a tedeschi e francesi.

 

In pratica, quest’audizione, vista da Giorgetti, sarebbe stata un successo perché i due senatori della Lega, B&B, alla fine, non hanno messo nero su bianco, non hanno dichiarato, “ministro, non firmare nulla”, ma si sono limitati a fare un po’ di schiuma. Può un ministro dell’Economia vivere di queste consolazioni? Per fare digerire alla Lega questo nuovo patto, a Firenze, si è dovuto sbronzare di sovranismo con Tino Chrupalla, lo stuccatore crucco, ieri si è mangiato il sushi con i samurai Borghi e Bagnai. Gli manca solo il kimono ed è già pronto per il seppuku.
 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio