Privatizzazioni

Giorgetti da Siena. Vende Mps ai fondi (e continua con Poste). I patrioti a Wall Street

Carmelo Caruso

Fondi, banche, e per fortuna contraddizioni. Il governo Meloni come già con Tim favorisce l'ingresso della grande finanza internazionale. Dopo Monte dei Paschi è il turno di Poste

Il governo Meloni è stato bravissimo: si è contraddetto. L’operazione di cessione Mps? Possibile anche  grazie all’ex dg del Tesoro, Alessandro Rivera, che è stato sostituito. Il governo patriottico? Ha venduto il 25 per cento di Mps e in quel 25 per cento ci sono fondi stranieri. Il successo della quotazione? Si deve al silenzio di Marcello Sala, il dg delle partecipate del Mef, ex manager di Intesa Sanpaolo, le famigerate banche da “punire” con gli extraprofitti. Meloni  cura la sua economia  presso le terme di Giorgetti da Siena. L’acqua magica è l’ Abb. E’ la procedura accelerata (Accelerated book building) che ha permesso di raccogliere un miliardo dalla cessione   di Mps, ed è la procedura con cui si intende cedere una parte di Poste. In attesa, la Ue ha dato i voti: la nostra manovra non è “pienamente in linea”, ma la francese non lo è per niente. Al momento siamo più secchioni dei francesi!


 
Quando lunedì sera, il Mef, con due comunicati, a distanza di poche ore, ha prima annunciato la vendita di una parte di Mps, e successivamente chiuso l’operazione, a Milano, manager e uomini di banca, scherzando, si sono chiesti: “Ma come era la storia di Tim rete patriottica e tricolore?”. Lo sanno tutti che in Tim è entrato Kkr, un fondo speculativo, ovvero grande finanza internazionale. Chi conosce le banche sa invece che a comprare il 25 per cento di Mps è stato nientemeno che il fondo BlackRock, e poi quello norvegese (Norges) o l’americano Wellington oltre naturalmente alle banche italiane. Un miliardo di euro ha colore o bandiere? E se solo si fosse onesti, fino in fondo, bisognerebbe riconoscere che una parte di quel miliardo che Giorgetti ha raccolto in poche ore, e che gli permette di presentarsi in Europa e dire: “Ho fatto quanto promesso, sto privatizzando”, è merito del vituperato ex dg del Tesoro. E’ stato infatti Rivera, durante il governo Draghi, a scegliere come ad di Mps Lovaglio, a gestire la sostituzione dell’ex ad Bastianini e a coinvolgere Bank of America, Mediobanca, Credit Swiss. Chi ha acquistato oggi Mps, lo ha fatto perché scommette che fra sei mesi il suo valore continuerà a crescere. Ma chi la vende oggi lo fa grazie al lavoro cominciato da altri. Un anno fa, Rivera, ex dg del Tesoro, sostituito da Riccardo Barbieri Hermitte, il dg in frac, veniva accusato di aver gestito male il dossier Mps. Qualcuno deve a Rivera almeno mezzo miliardo di scuse. Il resto lo ha fatto l’altro dg del Tesoro che guida il dipartimento partecipate. E’ Sala ed è riuscito a tenere riservata la procedura Abb. Detta in maniera semplice è una specie di asta competitiva. Se alla fine un quarto di Mps è stato venduto bene lo si deve alla segretezza, al parlar poco. E’ il metodo caro a Carlo Messina, il ceo di Intesa Sanpaolo. Nel 2021 riuscì a tenere segreta fino alla fine la fusione tra Ubi Banca e Intesa Sanpaolo. Sala viene da quel mondo. E’ stato vicepresidente esecutivo di Intesa Sanpaolo. E’ lombardo, di Lissone. Da giovane ha militato nella Lega. Tutto questo per arrivare alla domanda: che significa nella finanza “patriota”? Esiste una finanza da “patriota” o è solo una frase buona per presentarsi di fronte a Lilli Gruber, la giornalista capelli a cofana? Dice Francesco Filini, di FdI, l’uomo più vicino a Giovanbattista Fazzolari, che è vicino a Meloni (in Italia siamo ormai tutti vicini di vicini) che il vero patriota non è altro che l’italiano stabile, che non ha grilli per la testa, che mantiene le promesse: “Finora, anche a destra, si è ragionato poco sul concetto di stabilità. Lo spread scende perché il governo è stabile. Le agenzie premiano  l’Italia perché Giorgetti ha promesso le privatizzazioni e le privatizzazioni sono iniziate”. Ed è un bellissimo cortocircuito. Le prime privatizzazioni risalgono al 1992. La destra, quella patria mestolo e divieti, le racconta ancora come fossero un libro della Kaos edizioni, un giallo: è il patto dello yacht, una specie di pentolone dove ci sta la nave Britannia, la grande finanza internazionale, Mario Draghi, Ciampi, Prodi… Sono passati più di trent’anni da quelle privatizzazioni e al Mef, lì dove ci stava Draghi, direttore generale del Tesoro, ora ci sta Giorgetti ministro. E’ troppo presto per dire che in tre anni il governo riuscirà, come promesso alla Ue, a raccogliere ben 20 miliardi dalle privatizzazioni, ma è vero pure che ne è già arrivato uno, ed è bastata una notte. Con Poste si può scendere di almeno il trenta per cento. Realisticamente Poste resterà al cinquantuno per cento, salda, nelle mani dello stato. Sarebbe questa l’intenzione per poi arrivare alla madre di tutte le quotazioni: Ferrovie. E’ passato più di un anno è il frutto più maturo di Meloni è questa Meloni da Siena, una Meloni che non statalizza ma che tratta con la grande finanza internazionale. Manca solo il magnate Soros (il figlio non fa altro che andare ospite dal premier albanese Edi Rama) ma non è detto che Meloni non lo riceva presto a Palazzo Chigi e si facciano la foto con Giorgetti e Fazzolari. Wall Street si è già trasferita alla Garbatella.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio