Il caso

Meloni beffata da due russi. Ecco la catena degli errori che ha mandato in tilt la diplomazia

Carmelo Caruso

La mancata collaborazione tra diplomatici e Servizi, la corsa per la successione del consigliere diplomatico di Meloni. Oltre la telefonata burla c'è una falla che ha reso vulnerabile il governo

In pratica c’è un Antonio Ricci pure a Mosca. I fatti: Giorgia Meloni cade vittima di uno scherzo telefonico di due comici russi. Il lato buffo: sembra una scena di “Totò ambasciatore di Catonga”. Il lato serio: l’ufficio diplomatico di governo è permeabile, la telefonata già piegata dalla propaganda russa (e italiana). Obiettivo: mostrare che i paesi occidentali sono stanchi di sostenere l’Ucraina. La conversazione risale al 18 settembre. Meloni si trova in America: il giorno dopo interverrà all’Onu. E’ convinta di parlare al telefono con il presidente della Commissione dell’unione africana e dice: “La controffensiva dell’Ucraina non sta andando come ci si aspettava. C’è molta stanchezza da tutte le parti. Abbiamo bisogno di una via d’uscita”. La colpa di questa catastrofe telefonica se la prende, per intero, il consigliere diplomatico Francesco Maria Talò. La notizia viene rilanciata  dalla presidenza del Consiglio. E’ la Caporetto delle feluche.


E’ ora di pranzo quando Palazzo Chigi diffonde questa nota: “L’ufficio del Consigliere del presidente del Consiglio dei ministri si rammarica per essere stato tratto in inganno da un impostore che si è spacciato per il presidente della Commissione dell’Unione africana e che è stato messo in contatto telefonico con il presidente Meloni”. Da qualche decina di minuti sul web circolava l’audio della telefonata burla. E’ opera di due ciarlatani di professione. Si chiamano Vovan (Vladimir Kuznetsov) e Lexus (Alexey Stolyarov) e vantano una lista di uomini di stato turlupinati: Erdogan, Trudeau, Merkel, Lagarde, pure il ministro della Difesa britannico. Che siano vicini ai servizi russi, a Putin (loro lo smentiscono) e che sia una “trappola”, come si affretterà a dichiarare il sottosegretario Fazzolari, passa in secondo piano di fronte a un clamoroso buco che coinvolge staff della presidente, diplomazia, e la stessa premier che più volte ripete, al telefono “detto tra me e lei”. Il ciarlatano la provoca, si lamenta del denaro che la Ue spedisce all’Ucraina anziché ai paesi africani. Meloni risponde: “Il problema è trovare una soluzione che sia accettabile per entrambe le parti”. Si lamenta dei colleghi europei che non le rispondono al telefono quando vuole parlare di immigrazione. La parte più controversa riguarda la Francia. La premier chiede, sempre “tra me e lei”, al ciarlatano cialtrone, cosa ne pensa del golpe in Niger e ripete che l’Italia è diversa dalla Francia, nazione che ha altre priorità in Niger “come il franco Fca”, visto che il “il Niger, abbonda di uranio e altri minerali”. Il ciarlatano la interroga sul nazionalista ucraino Bandera, “collaborazionista dei nazisti”, ma la premier risponde che non lo conosce e che “gli ucraini stanno facendo quello che devono fare e quello che è giusto fare. E noi stiamo cercando di aiutarli”. Questa è la figura da Catonga, come ha twittato l’ex ministro per gli Affari Esteri, del Pd, Amendola, quella che segue è la catena di sviste, inimicizie, a partire dalla telefonata. Arriva alla segreteria dell’ufficio diplomatico. Lo coordina Talò, il rammaricato, che sta per andare in pensione. Ma sono due i diplomatici che in realtà lo governano e che si stanno giocando la successione. Uno è Luca Ferrari, sherpa G7, l’altro è Alessandro Cattaneo, consigliere diplomatico aggiunto. Con Ferrari, già ambasciatore in Cina, è arrivata a Chigi anche Lucia Pasqualini. E’ un gruppo di giovani ambasciatori su cui la destra sta scommettendo. Il marito di Pasqualini è Clemente Contestabile, consigliere diplomatico del ministro Sangiuliano. La telefonata viene smistata alla funzionaria delegata per l’Africa. Viene presa in carico la richiesta, si annota l’oggetto e si fissa un appuntamento. Da quel momento dovrebbe esserci uno scudo a protezione di Meloni. Si dovrebbero incrociare i numeri, i nomi, le cariche. Non accade.  L’ufficio diplomatico può infatti chiedere una verifica all’Aise, i servizi segreti, per capire se il numero telefonico sia stato clonato. Ma tra diplomatici e servizi segreti, raccontano nei corridoi di governo, c’è una sorta di “cooperazione competitiva”. Non c’è un automatismo. Il delegato di Talò per l’Africa, sempre da quanto è possibile ricostruire, contatta le ambasciate interessate, si dice quella eritrea, ma non i Servizi. Si va avanti. La giustificazione di Chigi è che in quei giorni l’agenda della premier era fitta di colloqui con leader africani, ma è una giustificazione fragile. Non si passa un leader africano al presidente del Consiglio come se fosse un ministro. E’ vero che i leader hanno rapporti personali con altri leader, ma le comunicazioni avvengono su Whatsapp ma non questa. Nel caso dei ciarlatani russi, la telefonata passa dal centralino del diplomatico, poi a Chigi che fa “il ponte” con Meloni. La conversazione viene pure registrata come da prassi. Ascoltarla è il compito degli sherpa, in questo caso Talò, che prende appunti. E’ suo dovere fornire anche una scheda preparatoria prima della chiamata. La premier commette a sua volta un errore. Così come Mediaset ricordava a Giambruno che esiste Ricci che registra, anche gli apparati ricordano che i leader, quelli del Sud America e africani, in particolare, registrano e che l’espressione “detto tra noi” va bene se si parla con Fazzolari. Il presidente del Copasir, Lorenzo Guerini, ieri, ha avuto una conversazione con il sottosegretario Alfredo Mantovano, autorità delegata ai Servizi, e ha dichiarato che è “prioritario agire affinché simili circostanze non si ripetano, consapevoli che possono essere considerate, tra le ipotesi, attività con fini malevoli”. Il resto è politica. Perchè l’audio esce solo oggi? Giuseppe Conte dice che Meloni ha “ingannato” gli italiani. FdI che Meloni è coerente. Si sono divertiti solo i russi che vanno perfino ringraziati per aver smascherato la diplomazia Catonga. Finirà che diranno come Ricci: un giorno scoprirete che vi abbiamo fatto un piacere.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio