la livella

Da Roma a Milano, la prova che l'uguaglianza esiste: se chiami vigili e polizia... non arrivano

Salvatore Merlo

A Trastevere un residente getta acqua sui perdigiorno che lo esasperano con schiamazzi notturni. Quelli sfondano il portone del palazzo e provano a entrare nel suo appartamento. La polizia arriva solo mezz'ora dopo. Storia simile a Corso Como, dove i residenti danarosi vogliono assumere dei vigilantes. Che dovranno tuttavia chiamare le intovabili forze dell’ordine

Due storie, una romana e una milanese, ci sembrano il vero compimento della democrazia. Una sorta di splendido apologo sull’uguaglianza, formale e sostanziale, per così dire. La prova che il nostro è un paese davvero fondato sulla parità di trattamento. L’inveramento insomma della Costituzione, la più bella del mondo va da sé, che all’articolo 3 dice così: “Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge”.

 

State bene attenti. L’altra notte a Roma, nel quartiere di Trastevere, lì dove convivono popolo e borghesia come in gran parte del centro di Roma, un residente esasperato dagli schiamazzi molesti ha gettato una secchiata d’acqua sulla massa di ubriachi e perdigiorno che affolla ogni notte la strada sotto casa sua. A quel punto alcune decine di ragazzotti su di giri hanno sfondato il portone del poveraccio, sono entrati nel palazzo, hanno provato a sfondare anche le porte di alcuni appartamenti (cercando di stanare l’esasperato gettatore d’acqua)  e poi si sono dedicati a svariati atti di vandalismo per strada. La cosa è durata parecchio. I vigili urbani e la polizia sono arrivati dopo oltre venti minuti dalle prime chiamate. È la seconda volta che un assalto del genere succede, a Trastevere, questo mese. Schiamazzi, acqua, botte… niente polizia.

  

Per sapienza del destino qualcosa di simile è accaduto anche a Milano, dove, nel centralissimo Corso Como, i residenti danarosi stanno pensando di assumere dei vigilanti privati per controllare la strada e le cattive abitudini dei molesti sbevazzatori notturni. In assenza dello stato, anche nel 1600, a Milano venivano assoldati vigilanti, come ha ben raccontato Alessandro Manzoni. Non c’era Fedez, ma Don Rodrigo. Non si chiamavano vigilanti, ma bravi. Ecco. È una battuta, certo: ma i bravi, e i vigilanti, che sono una forma di privatizzazione della forza pubblica, si diffondono sempre nell’anarchia di uno stato che non si manifesta. O che, addirittura, benché legiferi parecchio, non esiste. Della faccenda milanese, che tante polemica sta destando in città, si è occupato anche l’assessore alla Sicurezza. Il brav’uomo si chiama Marco Granelli. E ieri è stato intervistato dal Corriere della Sera, nella pagine milanesi. Egli minimizza sulla questione dei vigilanti. Gli sembrano non l’evoluzione dei bravi, cioè la risposta di chi può permetterselo all’assenza di controlli (che spettano a lui), ma l’evoluzione del portierato domestico. Va bene. Gli chiedevano: scusi, assessore alla Sicurezza, non c’è il rischio che chi ha i soldi si paga la sicurezza privata e chi non ne ha finisce che resta in balia della microcriminalità? “Non direi”, rispondeva il buon assessore. “I vigilanti privati non sono poliziotti. Né vigili urbani. E devono chiamare le forze dell’ordine”. Insomma devono chiamare la polizia pure loro. La quale comunque non viene, che tu sia ricco, povero o vigilante, romano o milanese. È la livella, bellezza, ma non quella di Totò, bensì l’articolo 3 della Costituzione. Uguaglianza.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.