Ansa

L'editoriale del direttore

Perché lo sciacallaggio luddista è l'essenza del conservatorismo modello Salvini

Claudio Cerasa

Il leader della Lega ha scelto una strada precisa: speculare sui fatti di cronaca, miscelando sparate a caso, statistiche non verificate e algoritmo della gogna. Così buone cause diventano subito perse. I veicoli elettrici, Mestre e le battaglie giuste che finiscono in vacca

La regola ormai è chiara: metti una buona causa nelle mani di Salvini e quella causa, improvvisamente, in un istante, diventerà persa, sbagliata, controproducente e autolesionistica. La regola potrebbe essere applicata su terreni molteplici (pensate al garantismo: un campione del securitarismo che difende le garanzie fa più o meno lo stesso effetto di un piromane che difende i pompieri) ma quello che vale la pena isolare oggi riguarda ancora il caso drammatico dell’incidente di Mestre. Avete visto cosa ha fatto Salvini. Ha detto, senza sapere ovviamente ancora nulla dell’accaduto, che essendo l’autobus precipitato un autobus elettrico occorre fare una riflessione sui pericoli portati dai veicoli elettrici. Nella logica trucista, dire elettrico significa dire green, dire green significa dire Europa, dire Europa significa dire sinistra e scagliarsi, senza prove, contro l’elettrico significa, deve aver pensato il nostro vicepremier, offrire ai propri follower una ragione semplice per indignarsi contro tutto ciò che la Lega combatte.

 

Più che riflettere sul tratto da speculatore del leader leghista, ciò su cui vale la pena ragionare riguarda tre aspetti. Il primo punto è: i veicoli elettrici sono davvero più pericolosi di quelli non elettrici? Un sito specializzato (D.Move.it) ha fatto i calcoli. In Norvegia, dove i veicoli elettrici rappresentano il 20 per cento del parco circolante, nell’anno in corso i numeri sono questi: ogni 100 mila veicoli si sono registrati 17 incendi di auto con motore a combustione contro gli 0,7 di auto elettriche. Proporzione simile negli Stati Uniti: ogni 100.000 veicoli, 25 sono gli incendi che hanno riguardato auto elettriche, contro i 1.530 di auto a benzina. E in definitiva la probabilità che un’auto elettrica per passeggeri prenda fuoco è dello 0,0012 per cento contro lo 0,1 per cento di quelle con motore termico (dati Ev Firesafe, agenzia del dipartimento della Difesa australiano, che monitora gli incendi che coinvolgono mezzi elettrici a livello globale). Il dato è testimoniato anche dai trend dei costi delle assicurazioni. L’Rc media in Italia è di circa 310 euro (dato 2022) e il prezzo medio per assicurare un veicolo a zero emissioni si aggira intorno ai 230.295 euro (dati LeasePlan).

Ci sarebbero mille modi diversi per ragionare sul futuro rischioso dell’auto elettrica. Si potrebbe ragionare su cosa rischia l’Europa a investire in modo ideologico sull’elettrico senza essere ancora indipendente dalla Cina sulle materie prime necessarie alla costruzione di un veicolo a impatto zero (rispetto ai materiali necessari per la costruzione di una batteria elettrica, la Cina controlla il 56 per cento della capacità globale di litio raffinato, il 60 per cento di cobalto raffinato, il 58 per cento di manganese raffinato). Si potrebbe ragionare su cosa rischiano le democrazie occidentali a investire in modo frettoloso sull’elettrico guidati unicamente dalla necessità di dover fare i conti con il proprio senso di colpa sul clima (l’Ue, che rappresenta circa il 19 per cento del pil mondiale, produce l’8 per cento dei gas serra globali). Salvini ha scelto invece di seguire una strada precisa. Speculare sui fatti di cronaca per ragionare su cause giuste miscelando considerazioni sparate a caso, statistiche non verificate, algoritmo della gogna e convinzione che essere conservatori oggi debba necessariamente coincidere con la difesa luddista dello status quo. Metti una buona causa nelle mani di Salvini e quella causa, improvvisamente diventerà persa, e persino autolesionista.
 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.