"Dalla tassa sulle banche nessun effetto positivo sul bilancio". Il Mef smentisce la propaganda di Meloni

Valerio Valentini

La Ragioneria generale certifica che non è possibile stimare alcun maggiore incasso. La premier diceva: "Sugli extraprofitti possibili correttivi, ma a invarianza di gettito". Solo che il gettito non c'è, e per la Finanziaria non ci si potrà fare affidamento. Le correzioni del governo alla norma sballata. Occhio alla Bce

A suo modo, è stata di parola. Parole che in effetti erano quattro, e non una sola, ma comunque categoriche: “A invarianza di gettito”. Giorgia Meloni era stata chiara sulla tasse alle banche. “Correttivi si possono fare”, aveva detto la premier, ma senza che questi riducano la portata della misura per le casse dello stato. “A invarianza di gettito”, appunto. E va riconosciuto che così è stato. Perché, a dispetto degli annunci, la riforma inizialmente pensata garantiva alle finanze pubbliche zero euro. E ora, dopo le modifiche volute dal governo e introdotte nel provvedimento in discussione al Senato, garantirà sempre zero euro. Così certifica la Ragioneria generale dello stato. Che sia “a invarianza di gettito”, dunque, non c’è dubbio.

La conferma è giunta nella mattinata di ieri, in quella commissione Attività produttive di Palazzo Madama che da settimana è impantanata nell’analisi del decreto Asset. Alla fine l’emendamento del governo, tanto atteso, è arrivato. E con esso, la relazione tecnica che ne evidenzia la rilevanza finanziaria. Che è nulla, almeno nelle previsioni. “In generale – scrive infatti la Ragioneria dello stato – tenuto conto (...) che in sede di valutazione della norma che ha introdotto il contributo straordinario non sono stati ascritti effetti positivi di gettito, alle modifiche in esame, parimenti, non vengono ascritti effetti”. Eccole, le parole rivelatrici: “Non vengono ascritti effetti”. In sostanza: non è possibile stimare alcun beneficio per le casse dello stato connesso alla norma. E quindi quei “due, forse tre miliardi” che, negli annunci di esponenti di governo, dovevano giustificare l’intervento quei “due, forse tre miliardi” che si sarebbero dovuti destinare alla legge di Bilancio, semplicemente non ci sono (e dunque chissà a cosa si riferisse Tommaso Foti, capogruppo di FdI alla Camera, quando ieri, a ora di pranzo, ancora insisteva nel dire che “il ricavato del contributo straordinario richiesto alle banche servirà ad aiutare famiglie”). No, quel ricavato non ci sarà. 

Né, a ben vedere, c’è mai stato, almeno nei documenti ufficiali. La Ragioneria non a caso lo ricorda nella nuova relazione: “In sede di valutazione della norma che ha introdotto il contributo straordinario non sono stati ascritti effetti positivi di gettito”. E infatti, nelle stime allegate alla norma originaria, si evitava esplicitamente, sia pure “in via prudenziale”, qualsiasi previsione d’incasso. Nulla che possa essere considerato, dunque, ai fini della redazione della Nadef nei prossimi giorni e poi come copertura nella legge di Bilancio.

Un’incognita che aveva costretto i tecnici del Mef a limitarsi a poche righe di commento alla norma, sollecitando non solo i dubbi del servizio Bilancio del Senato (“sarebbe sarebbe opportuna l’acquisizione di dati che consentano di stimare il livello di entrate che si prevede di conseguire, perlomeno in linea di massima”), ma anche, e soprattutto, della Bce, nel cui parere del 12 settembre scorso veniva infatti ravvisato che “il decreto-legge non è accompagnato da alcuna relazione illustrativa che ne spieghi la ratio”. 

E proprio il documento licenziato da Francoforte, con le sue puntuali obiezioni sulla norma varata dal governo Meloni, ha evidentemente imposto una correzione così precipitosa da apparire quasi surreale. Certo, Giancarlo Giorgetti – dal cui staff fanno opportunamente notare come il ministro si sia sempre guardato bene dallo sbandierare cifre sui presunti incassi garantiti dalla norma – aveva lasciato intendere che metterci una pezza sarebbe stato complicato quando, parlando al Forum Ambrosetti, nel tentativo di difendere la misura aveva ammesso che “può darsi che sia inopportuna, sicuramente potrà essere migliorata, sicuramente c’è stato un difetto di comunicazione”. E tuttavia l’emendamento del governo rivela un cortocircuito logico, prima ancora che finanziario. La tassa, nella tesi di Palazzo Chigi, doveva applicarsi a banche che avevano fatto troppi utili (“i margini ingiusti”, cit), grazie al rincaro dei tassi varato dalla Bce. Si riteneva insomma che gli istituti di credito fossero fin troppo solidi, a dispetto delle osservazioni con cui l’Eurotower ribadiva il rischio che una simile tassa andasse a compromettere la consistenza delle riserve di capitale. Ora, con bizzarro ravvedimento, si offre alle banche l’opportunità di non versare l’obolo purché si impegnino nel consolidamento del capitale, dunque le si ritiene evidentemente bisognose di un rafforzamento delle basi patrimoniali.

E c’è infine un altro passaggio scivoloso, nell’emendamento del governo. Quello in cui si vieta alle banche di “traslare gli oneri derivanti dall’attuazione del presente articolo sui costi dei servizi erogati nei confronti di imprese e clienti finali”. E a presidio di questo principio viene delegata, manco a dirlo, l’Antitrust. Un comma ricalcato dall’analoga legge varata dal governo socialista spagnolo. Su cui, però, la Bce si era già espressa negativamente, evidenziando come quel genere di rincari andassero considerati “tutti legittimi” e come “gli istituti di credito, in sintonia con le migliori pratiche internazionali, tengano conto, nella determinazione dei tassi da applicare ai prestiti, di tutti i costi rilevanti, incluse le considerazioni sulle tasse da pagare”. 
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.