Maurizio Landini (Ansa)

L'opa del sindacato

Altro che asse con Pd e M5s. Landini vuole reclutare il terzo settore

Dario Di Vico

La manifestazione di ottobre certifica che la Cgil, più che ai partiti di opposizione, guarda all'associazionismo e alle forze civiche. Così il segretario punta a ritrovare la centralità nel dibattito politico

Nella rentrée politica 2023 Maurizio Landini ha obiettivamente saputo ricavarsi uno spazio considerevole. Il segretario molto presente sui media (le sue interviste a tutta pagina sui grandi giornali sono ricorrenti), con la doppia iniziativa di convocare una manifestazione di piazza per il 7 ottobre a Roma e di scrivere una lettera alla premier Giorgia Meloni ha agito con grande abilità. La Cgil è in campo e nelle difficoltà dell’opposizione di trovare un fil rouge di iniziativa e controproposta appare come un’organizzazione rocciosa e combattiva. Avendo i fotografi più volte immortalato il leader della Cgil con Elly Schlein e Giuseppe Conte, alcuni osservatori hanno anche ipotizzato la formazione sul campo di una sorta di tridente anti governativo identificabile negli schemi d’attacco combinati fra i tre leader. E dal supporto in retrovia della Cgil come collante e insieme attore più motivato degli altri. 

 

Ma davvero Landini interpreta la sua azione in questo modo, pensa a sé stesso come ente di mutuo soccorso dell’opposizione in panne? L’impressione è tutt’altra. Il numero uno del sindacato rosso gioca per sé e ha l’ambizione di collocare la sua Cgil in una posizione-chiave dello scacchiere. L’insistenza sulla delegittimazione delle forze politiche certificata dai numeri crescenti dell’astensionismo elettorale è un leit motiv ricorrente dei discorsi del segretario e tradisce quantomeno una visione pessimistica del rapporto politica-elettori nella democrazia italiana. Di converso la Cgil, con i suoi 5 milioni di iscritti e un apparato che resta comunque poderoso se confrontato con quello del Pd, non sarebbe delegittimata, anzi. La sua azione nel mondo del lavoro, le tessere, la partecipazione dei lavoratori agli scioperi e alle agitazioni indette da Corso d’Italia dimostrerebbero automaticamente e senza timore di smentita una differenza sostanziale (anche qualitativa) rispetto a partiti poco vitali e sicuramente non attrattivi. Quindi è un Landini che si muove più in competizione con Conte e Schlein che in loro aiuto. Non è un caso che di recente la segretaria del Pd abbia annusato l’aria e abbia anch’essa annunciato l’organizzazione di una manifestazione di piazza a Roma, quasi a compensare la già annunciata mobilitazione della Cgil.

 

Landini non vuole assolutamente aprire un partito, sa benissimo che una neo-formazione cigiellino-laburista faticherebbe a trovare sul mercato politico un consenso superiore alle dita di una mano, e anche quando si è dovuto mandare in Parlamento qualche esponente del sindacato è stato obiettivamente difficile convogliare robusti consensi in quella direzione. Quindi meglio stare alla larga da prove elettorali inclementi e puntare invece a condizionare i partiti “delegittimati” gettando sulla bilancia il peso degli iscritti. Guai ai deboli. La lettera a Giorgia Meloni sta dentro questa visione come lo era stato l’inedito invito a parlare al congresso della Cgil. E’ un gioco degli specchi in cui Landini cerca ulteriore legittimazione, una sorta di riconoscimento per la Cgil di una senioritas politica. Poter parlare alla gente scavalcando i partiti senza essere accusati di populismo.

La manifestazione del 7 ottobre in questo contesto assume una grande importanza ovviamente. Intanto la Cgil l’ha promossa senza la Cisl – e fin qui non c’è grandissima sorpresa – ma anche senza la Uil di Pierpaolo Bombardieri, che aveva condiviso negli ultimi anni quasi tutte le scelte – anche le più infelici – di Corso d’Italia. La scelta è stata invece quella di individuare una partnership più pregiata dal punto della rappresentanza: il terzo settore. Il corteo marcerà “in difesa della Costituzione”, percorrendo quella che metaforicamente è stata chiamata “La Via Maestra”. Avrà una piattaforma-insalata con i temi del lavoro, del diritto alla salute, dell’istruzione, della pace, del rigetto dell’autonomia differenziata e della centralità del Parlamento. Ma soprattutto riuscirà a mettere accanto alle bandiere della Cgil quelle di circa 100 associazioni del terzo settore. Nell’elenco appaiono sigle obiettivamente minori ma ci sono i grossi calibri del terzo settore come Acli e Arci accanto a Legambiente, Libera, ActionAid, Emergency, Fondazione Gimbe, gruppo Abele. Si può dire che il 7 ottobre andrà in onda un’Opa della Cgil sul terzo settore? I puristi dell’associazionismo sono portati a pensarlo ma il no profit è un arcipelago di sigle così ampio che è quasi impossibile possa venirne fuori un giudizio comune. Del resto alcune associazioni avevano addirittura partecipato alla manifestazione “per la pace” sponsorizzata da Giuseppe Conte.

 

In assenza di voci di dissenso, Landini riuscirà a portare a casa un risultato importante. Visto e considerato il tramonto della centralità (novecentesca) del lavoro potrà tentare di ricavare per la sua Cgil un ruolo differente al centro della galassia del sociale, del disagio e dell’associazionismo. Nel gioco degli specchi da far valere con Giorgia Meloni non sarebbe un bottino da poco. Per il terzo settore non è affatto detto però che sia un bene. Rischia di restare impigliato nella logica del conflitto politico d’autunno quando il principio che lo qualifica davvero -–e ne fa un “animale” diverso dai sindacati – è la scissione tra protagonismo e potere. Il no profit è un servizio capillare rivolto ai fragili e come tale non li usa per acquisire più potenza. E’ un’altra filosofia rispetto a quella delle gloriose e verticistiche “macchine” politico-sindacali del Novecento.
 

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