Le finanze del Pd

L'austerity del Pd di Schlein, tra europee e cassintegrati da salvare

Alessandro Luna

La segretaria ha deciso di non licenziare nessuno dei dipendenti. Ma si avvicina una campagna elettorale per cui bisognerà investire alcune risolrse, anche se le spese non potranno certo essere esorbitanti. Le difficoltà di una segreteria penalizzata da alcune cattive scelte delle precedenti amministrazioni. 

Sembra una tempesta perfetta: il Partito democratico è da tempo in difficoltà economica, ne sono prova gli 89 dipendenti in cassa integrazione in scadenza il 30 settembre che la segreteria di Schlein sta faticosamente cercando di ricollocare o di avviare alla pensione avendo deciso di non volerne licenziare nessuno. A questa situazione si aggiunge un’enorme spesa che il partito dovrà sostenere e che non può certo rinviare: quella delle campagne elettorali che si fanno sempre più vicine e che potrebbero venire accorpate nella stessa data: un importante giro di amministrative, che tra le altre cose rinnoveranno i sindaci di Firenze e Bari, e soprattutto le europee del 2024, in primavera. Un impegno, quest’ultimo, che andrà calibrato bene e per cui ci si sta cercando di preparare nonostante le difficoltà. 

Le campagne elettorali costano molto, lo sa bene il tesoriere del Pd Michele Fina che in queste settimane dice di essersi trovato di fronte a una situazione economica che è stata duramente aggravata dalla campagna del 2016 per il Sì al referendum costituzionale di Matteo Renzi, allora presidente del Consiglio e segretario del partito. La decisione di cercare di mantenere nel Pd sessanta degli ottantanove dipendenti in cassa integrazione non permetterà alla nuova tesoreria di spendere cifre folli per queste europee, cosa che invece hanno fatto, secondo l’attuale segreteria, alcuni predecessori di Schlein. 

Ce lo racconta nei dettagli un dipendente del Pd: “Anni fa il partito riuscì a far ottenere a chi era stipendiato dal Pd la cassa integrazione per non licenziare nessuno. Ma nel frattempo, pur ricevendo soldi dallo stato”, denuncia l’attuale dipendente, “si continuò a commissionare, con una lunga serie di affidamenti esterni, un buon numero di consulenze ad altre società, spesso amiche”. Con una frequenza, ci conferma un altro lavoratore interno al partito, che creò non pochi malcontenti tra i dipendenti del Pd, soprattutto quelli in cassa integrazione. “Per esempio, pur disponendo di giornalisti iscritti all’ordine e di una redazione social composta da circa sei ragazze e ragazzi, pagarono una cifra esorbitante alla  Social Com, la società di consulenza di Luca Ferlaino, per gestire i social in vista della campagna elettorale del 2022, che finì poi con un pessimo risultato e con Giorgia Meloni al governo”. 
E, come ci conferma un’altra dipendente del Pd, questi affidamenti in esterna non erano eccezioni, ma una prassi ben consolidata. Il tutto mentre il partito riceveva soldi dallo stato per le casse integrazioni. Motivo per cui adesso il principale partito di opposizione, nonostante sia il soggetto politico che riceve più finanziamenti dal due per mille, si trova a dover stringere la cinghia, nel tentativo (non in discussione) di non licenziare nessuno dei cassa integrati. 

Ma la campagna elettorale per le europee, se fatta “al risparmio”, rischia di risultare poco efficace e debole. Soprattutto in un momento in cui il Partito democratico si trova non solo a dover contrastare la destra al governo (per ora non in crisi di consensi), ma anche a dover rispondere a una feroce concorrenza che Schlein subisce proprio nel suo campo, quello progressista, e da due fronti. Dovrà infatti contendersi i seggi dell’europarlamento sia con Giuseppe Conte che con i soggetti politici di Calenda e Renzi, decisi più che mai a non finire sotto la soglia di sbarramento. Proprio per questo, nella ridefinizione dei rapporti tra il Nazareno e gli europarlamentari del Pd, si sta discutendo di chiedere a tutti i dem a Bruxelles un contributo di 1.500 euro in più per sostenere le spese che il partito dovrà affrontare in questa difficile stagione. Insomma, Meloni e Schlein sono certamente diverse da quasi tutti i punti di vista, ma hanno una cosa in comune: che si tratti di manovra finanziaria in un caso o di campagna elettorale per le europee nell’altro, entrambe si trovano ora a dover contenere le spese e mettere in campo una qualche forma di austerity. In questo l’Italia e il Partito democratico si somiglieranno. 

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