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Ops! Schlein ha un problema salariale con i dipendenti del Pd

Alessandro Luna

A fine settembre scadrà la cassa integrazione per i dipendenti del Partito democratico. A quel punto la segretaria dovrà scegliere se tenerli o licenziarli. Nel frattempo affida la comunicazione all'ex renziano Francesco Nicodemo

Il partito del salario minimo ha un problema con i suoi dipendenti: circa 90 lavoratori assunti dal Pd sono in cassa integrazione, condizione che scadrà però a fine settembre. La segretaria Elly Schlein ha quindi un mese di tempo per decidere che farne. “A breve incontreremo i sindacati delle varie categorie assunte, in modo da capire come gestire questo problema. Fino ad allora non posso dire altro”, spiega Michele Fina, tesoriere del Pd. I problemi sono cominciati anni fa, nel 2014, dopo che l’ex segretario Enrico Letta, allora presidente del Consiglio, decise di abolire il finanziamento pubblico ai partiti, lasciando le casse del Pd aggrappate solo al 2 per mille e ai soldi dei tesseramenti. Soldi, questi ultimi, che vengono però impiegati in una percentuale importante (quando era segretario Letta all’80 per cento) nel finanziamento delle sezioni locali. Il partito erede dei Ds ha poi subìto due forti scossoni finanziari, causati da due costosissime campagne elettorali: quella per il Sì al referendum di Renzi e quella per le elezioni politiche del 2018.

Da allora il numero di dipendenti del Partito democratico in cassa integrazione è sempre rimasto intorno al centinaio: “Quando era segretario Letta erano tra i 115 e i 120”, racconta Walter Verini, tesoriere del Pd fino a marzo. “Ricoprono i ruoli più disparati: c’è chi è stato messo a lavorare negli uffici di segreteria, chi è impegnato nella comunicazione, con contratti da giornalista, quattro o cinque si occupano della sicurezza della sede di Roma, altri invece sono dirigenti. Per esempio molti ricordano il caso, abbastanza eclatante, di Gianni Cuperlo che nel 2018, dopo la sconfitta alle elezioni che portò al governo gialloverde, non venendo rieletto in parlamento tornò nel Pd anche lui nella condizione di dipendente in cassa integrazione. E non fu l’unico”.

Guadagnano tra i 1000 e i 1400 euro, 24 di loro erano stati assunti dai ministri del Pd negli anni (tanti) in cui il partito è stato al governo, ora sono tornati nella condizione di cassa integrati. Alcuni di loro girano come segretari da un ufficio all’altro con una certa rapidità. vengono spesso rimescolati, spostati e impiegati dove ce ne è bisogno. Un mix di figure operative e politiche che, non potendo essere licenziate vengono fatte lavorare meno di chi è dipendente e ha un contratto sicuro. Eppure, pur potendo contare su un folto gruppo di persone assunte in qualità di giornalisti, il Pd ha appena deciso di affidare la sua comunicazione a una società di consulenze, la Lievito consulting di Francesco Nicodemo, l’uomo che gestiva i social di Renzi quando l’ex segretario era a Palazzo Chigi.

In realtà”, ci spiega un collaboratore del Pd con contratto a partita Iva, “la nuova società di comunicazione è pagata dai gruppi parlamentari del Pd, gli unici ad avere un po’ di soldi da spendere. E’ sempre stato così, per esempio nel 2017 furono i gruppi a pagare 130mila euro per il treno con cui Renzi fece campagna elettorale in giro per l’Italia. Mentre il partito ha le sue difficoltà, i gruppi hanno dei fondi che gli vengono assegnati per assumere persone nel proprio staff”. E in effetti è proprio nei gruppi che si sta cercando di far entrare alcuni dei dipendenti in cassa integrazione al Nazareno. Ma perché la nuova società di comunicazione, che è subentrata a Quorum, viene finanziata con i soldi dei gruppi? “Il motivo è che non puoi fare queste cose dalle casse del partito democratico nazionale, perché altrimenti i dipendenti in cassa integrazione giustamente protestano e dicono ‘quei soldi dateli a noi’. Ci sono alcune persone che sono giornalisti a tutti gli effetti che potrebbero essere impiegati nella comunicazione. Invece gran parte degli appalti esterni per collaborazioni o servizi si fanno gestire ai gruppi, a cui arrivano spesso dalla segreteria nazionale alcune indicazioni da far rispettare su a chi affidare cosa”, conclude il collaboratore.

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