Meloni tentata dalla battaglia contro Berlino sul Patto di stabilità. Poi ci ripensa su suggerimento di Bruxelles

Valerio Valentini

Sul caso della Corte dei conti tedesca a Palazzo Chigi volevano allestire un'invettiva contro Scholz. I consiglieri diplomatici però suggeriscono cautela: "Rischia di essere un autogoal". La fermezza della Commissione sulle spese eccezionali. E i conti della legge di Bilancio che non tornano: il deficit in aumento e la crescita cala

Il colpo era già in canna. I social media manager già allertati: “Pronti a postare”. Poi, quasi per scrupolo, una verifica con gli uffici diplomatici, una telefonata con gli sherpa a Bruxelles, un consulto con la Commissione europea. Ed è lì che l’urlo s’è un po’ strozzato in gola a chi, a Palazzo Chigi, nel sancta sanctorum del melonismo, pregustava il pernacchio alla Germania. “Quelli che ci fanno le pulci sui conti, poi i conti li taroccano”, commentavano, non a  caso, deputati di FdI di ritorno dalle vacanze. Dunque che si fa, si dà l’ordine di fare  fuoco su Olaf Scholz? No. Perché proprio da Bruxelles, da chi sta seguendo le trattative sul Patto di stabilità,  viene raccomandata prudenza: sollevare strumentalmente il caso dei fondi speciali tedeschi   fuori bilancio rischia  di complicare le già proibitive ambizioni del Mef di ottenere concessioni nel negoziato sui nuovi vincoli fiscali.

Tutto l’equivoco è sorto intorno al pronunciamento della Corte dei conti tedesca, che s’è pronunciata nei giorni scorsi per ribadire, con un parere non vincolante, che i capitoli di spesa dirottati da Scholz sui cosiddetti “fondi speciali” vanno considerati come deficit ordinario. Centinaia di miliardi di euro che da decenni vengono accantonati in oltre venti voci extra bilancio, ultimamente rimpinguati per sostenere la svolta sugli armamenti, le misure d’emergenza per il Covid e gli investimenti per la transizione ecologica. Per i giudici contabili tedeschi quei soldi vanno computati nel bilancio ordinario. Il che, oltre a far venire meno l’impegno preso dal ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner, produrrebbe un immediato lievitare del deficit per l’anno in corso e quelli a seguire. 

Di qui le accuse a Berlino di aver “taroccato i conti” diffusi da vari media italiani. Di qui, inevitabilmente, le intemerate degli europarlamentari della Lega – come Isabella Tovaglieri – sul governo di Berlino “coi conti in rosso”. Un fermento che s’è riversato anche nei corridoi di Palazzo Chigi e di Via XX Settembre, due giorni fa. Suggerendo a ministri e sottosegretari che fosse utile intervenire sulla faccenda per segnalare l’esigenza di superare la proposta della Commissione sul nuovo Patto di stabilità e rivendicare il diritto a scomputare dal deficit le spese per investimenti strategici, primi fra tutti quelli sulla transizione ecologica. Era stato questo, non a caso, anche il leitmotiv dei recenti interventi di Giancarlo Giorgetti, prima al Meeting di Rimini e poi a Cernobbio.

Solo che, se questa è l’ambizione, e pur ammettendo – e non è affatto detto sia giusto ammetterlo – che l’ambizione abbia una qualche concretezza, esasperare il conflitto tra la cancelleria e la Corte dei conti tedesca finirebbe col delegittimare, anziché corroborare, le istanze patriottiche. Perché la Commissione è stata chiara. Anche con chi, per bocca dei suoi portavoce, nelle scorse ore l’ha consultata per sapere se, e in che forma, Berlino potesse sperare di aggirare, tramite l’artificio dei “fondi speciali”, i vincoli di bilancio canonici. Risposta chiara, sia pur formulata senza voler entrare nel merito specifico del caso tedesco: “Nell’ottica e nel rispetto delle regole fiscali dell’Unione europea – hanno spiegato i funzionari di Bruxelles – non è possibile per alcuno stato membro escludere nessuna particolare spesa dal deficit generale attraverso qualsivoglia strumento ad hoc (come, ad esempio, il ricorso a fondi speciali)”. Nessun losco stratagemma, dunque, per gabbare la Commissione: i fondi speciali della Germania finiranno comunque nel calcolo del deficit. Ed è qui che l’inciampo tedesco sa quasi di beffa per il governo Meloni. Perché, tenendo conto di quelle spese straordinarie, il bilancio federale segnerà un disavanzo di 85,7 miliardi, che equivalgono al 2,4 per cento del pil. Ed ecco che dunque, nel negoziare coi partner europei nei prossimi giorni, Scholz e Lindner potranno far notare come non ci sia alcuna esigenza di scomputare spese strategiche dal Patto di stabilità per fare sì che quegli investimenti possano essere finanziati stando sotto il tetto del 3 per cento di deficit: “Chi sa tenere i conti in ordine non ha bisogno di eludere i vincoli”.

Tanto più che il deficit italiano previsto per il 2024 dal Def è del 3,7 per cento. Dunque già decisamente più alto rispetto a quello tedesco, senza neppure considerare le intenzioni del governo Meloni di aumentare ulteriormente il disavanzo che, secondo indiscrezioni pubblicate ieri dall’agenzia Bloomberg, sarebbe destinato a salire al 4 per cento, dopo che già il 2023 si chiuderebbe con un indebitamento netto del 5 per cento. Sono dati non confortanti, evidentemente, e che il Mef, ieri sera, diceva di “non smentire”. Confermando dunque – proprio mentre a Palazzo Chigi iniziava il vertice dei maggioranza sulla legge di Bilancio, su cui gravitano richieste di spese fantasiose – che il quadro macroeconomico in peggioramento porterà verosimilmente a rivedere al ribasso anche le stime di crescita: l’1 per cento fissato nel Def per il 2023 verrà di certo messo in discussione dalle previsioni che lunedì la Commissione pubblicherà (con una stima al ribasso di due decimali); mentre l’1,5 per cento ipotizzato nel 2024 diventa un miraggio proprio per l’allarmante rallentamento dell’economia tedesca. A ribadire, semmai ce ne fosse bisogno, che fare la guerra a Berlino non è mai un’idea geniale, per chi deve far quadrare i conti a Roma.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.