Il governo reagisce tardi allo smacco di Tripoli. E la lentezza di Meloni è difficile da spiegare

Valerio Valentini

Dabaiba rimuove il suo veto su Orlando, il diplomatico italiano designato ambasciatore Ue in Libia. Ma la candidatura è ormai compromessa. Le tempistiche sospette, l'intervento rinviato di Farnesina, Palazzo Chigi e servizi. Tutto quello che non torna ancora nel pasticcio italo-libico

Dunque era tutto così semplice? Una verifica alle informazioni raccolte, qualche scambio di telefonate tra ambasciate, e tutto si è risolto. E allora perché si è atteso così tanto? Perché si è lasciato che le incomprensioni si aggrovigliassero, che tutto si complicasse, fino a compromettere, forse in maniera irreversibile, l’intera procedura? Bisognerà pure che qualcuno, tra Farnesina e Palazzo Chigi, spieghi. Perché la versione ufficiale è forse perfino più surreale, ora che si pretende di descrivere come “risolta” la faccenda. Con una nota prima, con interviste ad agenzie di stampa poi, l’ambasciatore libico a Roma, Muhannad Younes, nelle scorse ore ha spiegato che Tripoli ha finalmente deciso di riconoscere a Nicola Orlando quel gradimento che aveva invece finora negato, pregiudicando la nomina ad ambasciatore dell’Ue in Libia del diplomatico italiano. Un ravvedimento improvviso, e assai bizzarro.

Non perché Orlando, beninteso, non lo meritasse, quel gradimento. Semmai a essere oscuri sono i motivi che avevano indotto il governo Dabaiba a negarglielo. Una sua presunta eccessiva vicinanza al generale Khalifa Haftar, che di Dabaiba è il rivale dichiarato: un esporsi eccessivo a favore del dialogo tra le due principali fazioni in conflitto permanente in Libia nel corso di incontri e attività che Orlando avrebbe svolto nel suo ruolo di vice-ambasciatore italiano a Tripoli prima, e di inviato speciale di Roma nel paese nordafricano poi. Motivazioni che non dovevano essere tuttavia così solide, se è bastata una verifica più approfondita per confutarle. “Il gradimento della Libia alla nomina di Orlando  è stato sbloccato dopo che  Younes, ha informato il primo ministro del governo di unità nazionale, Abdulhamid Dabaiba, che le informazioni sul conto di Orlando non erano fondate”: questo comunicava ieri l’ambasciata libica a Roma.

Il che suona quasi surreale. Tanto più che questa improvvisa presa di consapevolezza da parte dell’ambasciatore avviene, guarda caso, proprio tre giorni dopo la pubblicazione sul Foglio della notizia del mancato gradimento a Orlando. Ragioni che per oltre due mesi avevano indotto Tripoli a bocciare il diplomatico italiano si rivelano fatiscenti tutto d’un tratto? Ora, che dalla Farnesina o da Palazzo Chigi siano partite delle telefonate per sollecitare questo ripensamento è una voce che pare verosimile, e che non a caso in ambienti di governo, sia meloniani sia forzisti, diffondono. Che davvero, come pure negli stessi ambienti si dice, a questa moral suasion abbia contribuito anche il vertice dell’Aise, cioè dei servizi segreti esteri, è un dettaglio forse perfino trascurabile. Perché la stranezza principale, in questa storia, sta semmai nel ritardo clamoroso con cui questi interventi sono stati attuati dal governo italiano per difendere la candidatura di un proprio diplomatico che aveva vinto una selezione europea – e per difendere, in definitiva, la rispettabilità del paese. Se davvero, come ci risulta, la comunicazione del mancato gradimento a Orlando da parte di Tripoli è arrivata informalmente alla Farnesina già a metà giugno, come si spiega la passività della nostra diplomazia di fronte a questo smacco?
Ora, dall’ambasciata libica ci confermano che sì, il ravvedimento è maturato anche in virtù del fatto che la pubblicazione della notizia rischiava di mettere in imbarazzo Giorgia Meloni, che col suo governo continua a essere uno dei principali sostenitori di Dabaiba. Di qui la richiesta inviata a Tripoli di rimuovere il veto su Orlando. Ma viene da chiedersi: perché tutto ciò non è avvenuto a ridosso della formulazione di quel veto?

Domanda non proprio capziosa, se è vero che questa strana indolenza patriottica ha probabilmente minato definitivamente le ambizioni non solo di Orlando, ma anche dell’Italia stessa a vedersi riconosciuta la prerogativa di avere un proprio diplomatico come ambasciatore europeo in Libia. “Il ministero degli Esteri libico ha mandato una nota verbale all’Ue domenica, confermando il gradimento a Orlando e spiegando che la prima nota verbale in cui rifiutava la nomina era basata su informazioni non fondate”, ha spiegato l’ambasciatore Younes. Ma il tutto, forse, fuori tempo massimo. Perché nel frattempo Patrick Simonnet, diplomatico francese e già ambasciatore europeo in Arabia Saudita, lui che era arrivato secondo nel concorso bandito da Bruxelles, dopo la bocciatura di Orlando aveva accettato il mandato propostogli dalla Commissione. E dunque non è affatto scontato che ora rinunci a favore del recupero della candidatura vincente, quella di Orlando. La procedura, confermano dagli uffici dell’Alto rappresentante Josep Borrell, non è ancora conclusa. “In questi casi – ci spiega il portavoce Peter Stano – noi pubblichiamo il nome dei nostri ambasciatori e i relativi dettagli quando tutte le procedure sono completate, l’accordo definito col paese ospite e l’ambasciatore designato ha confermato la sua disponibilità”. Davvero, dunque, alla Farnesina e a Palazzo Chigi non potevano attivarsi prima?
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.