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l'intervista

Guerini a Schlein: “Il Pd non può arretrare nell'impegno sulle spese militari”

Luciana Grosso

Il supporto dell'Ucraina, il ruolo dell'Europa e i nuovi fronti di tensione internazionale. Per l'ex ministro "l’Ue non può più delegare le proprie responsabilità di difesa agli Stati Uniti. Servono investimenti"

“Non capisco perché dovremmo arretrare”, dice a proposito dell’aumento delle spese militari. E Lorenzo Guerini, ex ministro della Difesa, oggi presidente del Copasir e dirigente del Pd non la cita, certo. Ma si riferisce anche a Elly Schlein, che le spese militari invece le vorrebbe ridurre. Ma non solo. “Dobbiamo continuare così”, aggiunge, a proposito di ciò che a suo parere devono fare rispetto alla guerra in Ucraina sia l’Europa sia il Pd. L’Europa deve consolidare la sua nuova consapevolezza di soggetto politico (e dunque anche militare) attivo. E il Pd, pensa Guerini, non deve affatto retrocedere dal suo impegno per l’aumento fino al 2 per del Pil della spesa militare entro il 2028. “Sono temi molto complessi su cui è normale che ci siano diverse sensibilità nel partito”, dice l’ex ministro. “Il Pd ha avuto una posizione chiara a sostegno all’Ucraina e la sta mantenendo. Sulle spese per la difesa le nostra posizione fino ad ora è stata a favore di una crescita compatibile con le possibilità finanziarie del paese. E, voglio ricordare, abbiamo costruito in Parlamento una visione condivisa su questo obiettivo, fissando al 2028 l’orizzonte entro il quale raggiungere il 2 per cento. Non capisco perché dovremmo indietreggiare da questa linea di cui siamo stati protagonisti”.

Di tutto questo, di Ucraina e di necessità di una chiara identità politica e militare dell’Ue, Guerini ha parlato nel suo intervento alla festa dell’Unità di casa sua, a Lodi, davanti a una platea tanto amica, perché qui tutti lo conoscono e tutti lo chiamano “Lorenzo”, quanto potenzialmente ostile, perché il Pd ha al suo interno un’ampia fronda che si autoproclama pacifista e che non ha capito, o finge di non aver capito, che nei cannoni ci si possono mettere fiori solo dopo che ci si sono messi proiettili. 

“Sull’Ucraina, l’Europa non può e non deve fare altro che continuare a fare quello che sta facendo: sostenere il paese, con l’invio di aiuti umanitari e militari. Rispetto al suo ruolo nel futuro del mondo, invece, nell’agenda europea ci devono essere due cose: la consapevolezza del proprio ruolo e peso e della necessità, ove non l’urgenza, di un percorso di politica estera e di difesa comune. So che in questa platea ci sono posizioni diverse rispetto agli eventi di questi anni – dice dal palco – ma l’Europa ha due scelte davanti a sé: o continuare a considerare i conflitti del mondo come faccenda non sua, oppure comportarsi come il soggetto di caratura globale che dice di voler essere e allora muoversi decisamente nella direzione di un piano strategico e di difesa comune”.

Fino allo scoppio della guerra in Ucraina, l’Unione europea non si era mai direttamente impegnata in una guerra. Lo avevano fatto i suoi paesi, certo, ma mai l’Unione come soggetto unico. Nei Balcani, il silenzio della neonata Ue fu assordante e colpevole. Così come assordante e colpevole è quello che circonda ancora la Siria, terra di nessuno in cui Putin e Assad hanno fatto e fanno quello che gli pare e piace. 

Ora le vicende del nordafrica e del Sahel potrebbero essere avviate allo stesso destino. O forse no. “Se l’Europa pensasse di mettere, ancora, la testa sotto la sabbia, commetterebbe un tragico errore. Così come se pensasse che quello che succede nel Sahel non la riguardi. Il Sahel è il confine meridionale dell’Europa e vi si giocano partite importanti, che ci riguardano: dai traffici illeciti, a partire da quello degli esseri umani, alla lotta al terrorismo jihadista, alla penetrazione di stati terzi certamente non cooperativi con noi. Puoi mettere la testa sotto la sabbia, ma quando passa la tempesta poi puoi trovarti di fronte ad uno scenario che non è quello che ti immaginavi. Nel caso dell’Ucraina, l’Europa è stata capace di non commettere questo errore e ha avuto il coraggio di fare ciò che andava fatto: inviando aiuti umanitari e militari al Paese aggredito, accogliendo i profughi, decidendo le sanzioni alla Russia, e facendo passi in avanti sulla difesa comune con l’approvazione dello Strategic Compass e con l’impegno finanziario della Commissione nel sostegno agli stati membri per le spese per l’invio di forniture militari a Kiev. Uguale consapevolezza l’Europa deve dimostrarla per l’Africa, un continente in cui si gioca un pezzo del nostro futuro. La Cina lo ha capito molto bene, tanto che da tempo la sua presenza sul continente è stata in costante crescita anche dal punto di vista militare, per esempio con la  base navale a Gibuti. Lo stesso, come sappiamo, ha fatto la Russia tramite Wagner. Di fronte a questo scenario, l’Europa deve fare molto di più e l’Italia dovrebbe essere in prima linea per pretenderlo, invece di  inseguire pretenziosi e velleitari piani nazionali che contribuiscono ad accrescere la competizione tra gli stati europei anziché la cooperazione, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti, come l’ultimo episodio sull’inviato Ue in Libia testimonia. L’Europa invece deve esserci di più e con tutti gli strumenti di cui dispone, per dimostrare a quelle popolazioni che vogliamo essere un partner credibile e forte. Continuare a non farlo sarebbe un ritardo sempre più colpevole”.

O nequizia, che specie in tempo di campagna elettorale, è pratica molto diffusa. “Il punto – chiude l’ex ministro – è che l’Europa è nata per espellere la guerra dal continente. Poi Putin, la guerra, ce l’ha riportata. Ma sei mesi prima del 24 febbraio 2022, da un’altra parte del mondo, è successa un’altra cosa: la ritirata da Kabul. Drammatica sotto diversi aspetti, ha avuto anche l’effetto di rappresentare un enorme segnale di debolezza dell’Occidente. Una crisi in cui l’Europa si è anche interrogata sulle sue debolezze nella sfera della difesa e della sicurezza, arrivando poi  all’approvazione dello Strategic Compass. Ora bisogna procedere con coraggio e determinazione in questo cammino. L’Europa non può più pensare di continuare a delegare le proprie responsabilità di difesa agli Stati Uniti. Oggi il 70 per cento della forza militare della Nato è americana. Investire nella difesa europea significa anche equilibrare maggiormente questo rapporto”.