Dopo la Libia, l'Egitto. Il Pd di Schlein accusa se stesso. E Guerini dice: "Mi sembra un'assemblea d'istituto"

Valerio Valentini

L'intemerata contro Descalzi della segretaria invoglia i suoi fedelissimi a proporre tesi complottiste sulla vicenda Regeni. Il tutto, dopo l'incidente sugli accordi con Tripoli di Gentiloni. Il presidente del Copasir allibito. Quartapelle: "Che amarezza, per queste letture massimaliste"

A un certo punto la discussione ha assunto toni così esagitati che Lorenzo Guerini ha scosso il capo a metà tra il costernato e l’incredulo: “Mah… mi sembra di sentire un’assemblea d’istituto”. E in verità no: ciò a cui il presidente del Copasir stava assistendo era il dibattito interno al Pd, e nella fattispecie la dichiarazione di quella Annalisa Corrado, esponente della segreteria di Elly Schlein, secondo la quale “siamo complici di governi sanguinari e liberticidi”. Impazzava intanto il dagli a Descalzi. Ed emergeva che un problema di politica estera, al Nazareno, esiste.

Si credeva tuttavia che l’inciampo, nell’ansia di spostamento a sinistra della linea del Pd, sarebbe stato sul fronte orientale. Invece era il Mediterraneo, il centro della crisi. Perché, se sul sostegno all’Ucraina, a dispetto del diffuso rimuginare “pacifista” dei suoi consiglieri, Schlein è rimasta ferma sul solco atlantista tracciato da Enrico Letta, su quanto riguarda il  Nord africa nel Pd iniziano le apostasie.

E’ successo, era domenica, che proprio nel tentativo di spiegare quanto complesse e spesso accidentate siano le relazioni diplomatiche coi paesi maghrebini, Claudio Descalzi, intervenendo alla convention di Forza Italia, ha rivendicato i successi di una politica energetica che ha portato il paese ad affrancarsi in tempi impensabilmente rapidi dalla dipendenza dal gas di Putin. Ed è qui che l’ad di Eni ha pronunciato la frase incriminata: “L’Egitto ci ha aiutato rinunciando ai suoi carichi quest’estate per mandarli in Italia per riempire gli stoccaggi. Questi sono paesi che se dai ricevi”. Frase infelice? Eccesso di sfoggio di realismo machiavellico? Certo è che nulla imponeva a Schlein di ritagliare quella dichiarazione e montarci su una polemica. “Nulla, a meno che non si consideri l’attenzione e la coerenza con cui Elly si dedica da anni alla causa di Giulio Regeni”, fanno notare, con puntiglio, dal suo staff. Come che sia, la segretaria incalza: “Penso che l’Italia non possa considerare la mancata collaborazione dell’Egitto sull’omicidio di  Regeni come un prezzo da pagare sull’altare degli interessi economici”. E tanto basta per invogliare tanti esponenti dell’ala sinistra del partito, quella vicina alla leader, a scatenarsi con commenti accalorati alquanto, espressione forse di quella velleità di legittimazione che, a giudizio dei vertici del Pd, passa anche e soprattutto dal rinnegare ciò che il Pd è stato negli ultimi anni.

Se non fosse, però, che alcune di queste intemerate hanno finito col dare fondamento alle letture più o meno complottiste di chi, nel M5s e non solo, ha ingiuriato a lungo maggiorenti del Pd presenti e passati. E infatti, se Guerini nel giudicare il tweet di Corrado, responsabile Energia del Nazareno, sceglie il distacco dell’ironia (“Mi sembra un’assemblea d’istituto…”), c’è pure chi, come Lia Quartapelle, a pensare di potere essere inclusa tra “i complici dei regimi sanguinari” proprio non ci sta. Perché l’Italia, va detto, ha gestito la dolorosa faccenda di Regeni anche tramite esponenti del Pd: Paolo Gentiloni, per dire, era ministro degli Esteri del governo Renzi, all’epoca dell’assassinio del ricercatore friulano. Va annoverato tra i “complici”? E come lui Renzi, e così pure, magari, Letta stesso? E poi Guerini, va da sé, e figurarsi Marco Minniti. E forse pure Erasmo Palazzotto, che da presidente della Commissione d’inchiesta su Regeni non ha fatto abbastanza? O magari complice sarebbe quel Nicola Zingaretti che si spese da par suo per cementificare un’alleanza con Giuseppe Conte ai tempi in cui “il punto fortissimo di riferimento dei progressisti italiani” vendeva le fregate di Fincantieri al governo di al Sisi? E’ per questo che Quartapelle, responsabile Esteri nel Pd di Letta, dice ora che è “triste e spiacevole che non si valorizzino gli sforzi che il Pd ha fatto, in questi anni, per la ricerca della verità su Regeni, e che si preferisca alimentare una polemica con dichiarazioni così massimaliste che non aiutano a comprendere fenomeni tragici e complessi”.

Meno chiaro, semmai, è il giudizio che sulla faccenda ha maturato l’attuale responsabile degli Esteri dem, quel Peppe Provenzano che da quando ha assunto l’incarico è diventato più enigmatico del solito. E infatti non risulta abbia commentato neppure l’altro incidente interno, quello che è avvenuto alla Camera la settimana scorsa, quando tre esponenti dem – Enzo Amendola, Marianna Madia e la stesa Quartapelle – si sono rifiutati di votare un ordine del giorno promosso da Verdi e Sinistra italiana che predicava la sospensione degli accordi sui migranti con la Libia varati dal governo Gentiloni. Incidente preoccupante non tanto per l’entità, in vero assai esigua, della pattuglia degli ammutinati, ma semmai per il fatto che l’intero gruppo dem accettava di vedersi dettare la linea in politica estera da un’altra componente parlamentare, nella foga di disconoscere se stesso. E c’è chi dirà, certo, che anche qui, soprattutto qui, sta il senso del mandato (e dalla vittoria) di Schlein: contraddire quel che il Pd è stato finora. E sia. Purché, però, non ci si riduca a questo: “a un’assemblea d’istituto”.
 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.