Il racconto

Meloni a Caivano promette redenzione, ma i dannati sono scettici: "Quando se ne va?"

Simone Canettieri

Nel tour blindato al Parco verde la presidente del Consiglio presenta gli interventi del governo per bonificare il degrado, ma chi vive qui è disincantato

Caivano, dal nostro inviato. Blindato il Parco Verde. Blindata lei. Blindati i centottantanove tra giornalisti e operatori che l’aspettano. Blindate le domande. Che sono antipatiche, e quindi non benvenute. Perché poi ci potrebbe essere qualche malandrino che le chiede un commento alla frase alticcia del compagno-giornalista sugli stupri. E, fatti due conti, qualsiasi risposta della premier potrebbe rovinare tutta questa ostensione di stato, cravatte e auto blu, che qui non vedevano da anni. Di sicuro dall’ultimo fattaccio di cronaca, la morte della piccola Fortuna Loffredo nel 2014,  vittima, come le due cuginette,  di bestie. E così parla lei e basta, davanti a un leggio. Diciassette minuti di buone intenzioni per trasformare questo sud del mondo – uno dei tanti – in un posto civile. Già, come si fa? Qui non ci credono. L’istituto “Francesco Morano” che ospita l’evento – il comitato per l’ordine e la sicurezza – è nuovo   di pacca con improbabili macchinine che tosano l’erba. Alle spalle i palazzoni tirati su dopo il terremoto del 1980.  

Due striscioni celebrano l’ultimo scudetto, unica gioia, sui balconi scrostati. Alle finestre non si affaccia nessuno, o quasi. Eppure non capita tutti i giorni una cosa del genere. Per strada due uomini sullo scooter, senza casco: “Quando esce la Melona?”. Palazzo Chigi la chiama il presidente del Consiglio, a Caivano eccedono nel femminile. Tradotta la domanda funziona così: quando se ne va? Il Parco Verde, dove non passa nemmeno un autobus per Napoli, dove nessuno o quasi paga la “pigione”, vuole tornare alla vita. Che qui è quasi sempre mala.

La visita della premier dura dunque circa tre ore. La prima tappa è in chiesa per l’incontro con don Maurizio Patriciello, il prete anti camorra. Fuori, convocati da un messaggio surreale e sgrammaticato uscito da un film di Totò e Peppino, c’è la claque dei “festanti” che “devono sembrare persone normali” per “bilanciare eventuali Redditi di cittadinanza”. L’idea era del senatore e coordinatore regionale di Fratelli d’Italia Antonio Iannone, l’esecuzione è diventata grottesca.

E comunque alla fine trenta persone urleranno “Giorgia, Giorgia” e venti la contesteranno per la passerella chiedendo lavoro o in alternativa Reddito di cittadinanza, certo. Don Maurizio si dirà soddisfatto, e chissà quante promesse avrà ascoltato in questi anni di niente e video denunce scandalistiche che fanno il botto come petardi, ma poi non portano a nulla.  Va detto che il piano di Meloni è ambizioso. Non solo perché è accompagnata da tre ministri (Matteo Piantedosi, Giuseppe Valditara, Andrea Abodi), un sottosegretario alla presidenza (Alfredo Mantovano), il capo della polizia (Vittorio Pisani), il presidente (e amico) di Sport e Salute (Marco Mezzaroma). Dirà che lo stato ha fallito, che il governo d’ora in poi sarà presente e visibile, che bonificherà tutto il brutto di questa periferia che non è poi   diversa da tante altre. E quindi il centro sportivo Delphinia, ora discarica e teatro degli orrori, “sarà bonificato” dal Genio militare e darà lavoro ai residenti. Arriveranno venti docenti in più (previsti nel decreto Sud di Valditara), ci saranno più forze dell’ordine per “respirare sicurezza”. E poi biblioteche e centri multimediali per  ragazzi. Ma anche pene più severe per i genitori che non mandano i figli a scuola. Meloni parla di un “modello Caivano” con tanto di cronoprogramma. Tuttavia i residenti del Parco Verde ci credono poco, non vedono l’ora che se ne vadano tutte queste sirene, tutti questi poliziotti, i blindati, i posti di blocco. Volteggiano gli elicotteri in cielo. Finito un intervento, denso di speranze che fanno a cazzotti con la realtà, Meloni dice che è in ritardo. Incontrerà il governatore Vincenzo De Luca in aeroporto prima di partire per Atene. Rimane un enorme chissà.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.