il personaggio

L'enigma Zaki. E' già un nuovo papa straniero per chi lo vorrebbe in politica

Marianna Rizzini

È già diventata la nuova icona della sinistra. Ma chi è davvero il ricercatore tornato a Bologna dopo la grazia concessa dal governo egiziano?

Cent'anni di solitudine e centomila giorni come questi, dice entusiasta il professore bolognese a proposito di Patrick Zaki, il trentaduenne ricercatore egiziano e attivista per i diritti umani arrestato, processato, condannato e poi graziato, a 4 anni dall'arresto, a Mansoura, nord del Cairo, e oggi festeggiato nel capoluogo emiliano, suo luogo d'elezione di cui è cittadino onorario. Cent'anni di solitudine, il capolavoro di Gabriel Garcià Marquez, dice il professore, è il libro che Patrick ha letto a un certo punto “dell'esilio”, così lo chiamano a Bologna: l'anno e mezzo in cui il ragazzo era a piede libero in Egitto, con divieto di espatrio. E l'aveva molto colpito, quel libro, anche se nulla poteva ricordare Macondo, il microcosmo di realismo magico del romanzo, in quell'Egitto di rivolte di piazza e repressione in cui era avvenuto l'arresto di Zaki, al ritorno dal primo semestre del master bolognese in Gender studies, nel febbraio del 2020, a pochi giorni dal deflagrare del Covid. Accusa: aver diffuso notizie false dentro e fuori il paese, sui social e con articoli.

 

Quattro anni dopo vediamo Zaki libero: libero di tornare a Bologna e di sposare la fidanzata Reny, con cui stava progettando matrimonio e cambio casa prima della condanna, e libero di prendere un volo di linea e non l'aereo di stato, motivo per cui, nei giorni in cui Zaki arrivava in Italia, si è posto il tema: sarà un segnale di contrapposizione al governo Meloni? E – forse complice il sorriso enigmatico di Zaki, e il suo inglese essenziale, intervallato da poche parole in italiano – il ricercatore protagonista della suddetta vicenda giudiziaria e politica internazionale è diventato icona di tutt'altro, a seconda dei punti di vista: papa straniero ideale per la sinistra a sinistra del Pd, tanto che l'Alleanza Verdi-sinistra lo vorrebbe invitare a parlare di salario minimo, e anche, se in futuro in qualche modo potesse avere la cittadinanza italiana, candidato ideale alle Europee per Un Pd schleiniano in cerca di simboli extra-partitici della lotta per i diritti. O, al contrario, esempio di “sinistra che non vuole riconoscere i meriti della destra quando fa qualcosa di buono”, come ha notato il confondatore del Fatto Antonio Padellaro. Zaki, pur non avendo preso il volo di stato, ha poi ringraziato il governo Meloni, ma tutt'attorno era già scoppiata la polemica sul presunto sotterraneo e poco chiaro accordo del silenzio sul precedente e tragico caso di Giulio Regeni. Fatto sta che Zaki è diventato qualcosa che va oltre Zaki, anche se lui, in conferenza stampa a Bologna o in Piazza Maggiore, durante la festa per il suo ritorno, applaudito come un divo mentre si schermiva, pur con una vena di improvvisa sicurezza che lo rende indecifrabile (è timido o è assertivo, è inesperto o già frontman?), oppure ospite a “In Onda”, su la7, continua a ripetere che il volo di stato non l'ha preso perché non avrebbe “potuto accettare i soldi delle tasse dei cittadini italiani” e che la sua idea per il futuro è fare il ricercatore in tema di diritti umani, studiati anche attraverso vari testi letterari proposti dalla sua professoressa-mentore Rita Monticelli, la signora bionda che, assieme al sindaco di Bologna Matteo Lepore, ha scortato Zaki nei giorni del rientro. Intanto l'ex ministro del Lavoro dem Andrea Orlando ha loda la scelta di Zaki proprio a proposito di quel volo: “Credo che quando lo Stato riporta a casa Zaki fa il suo dovere, quando realizza una estradizione di un criminale fa il suo dovere, quando riesce ad assicurare alla giustizia fa il suo dovere. Le photo opportunity sono una cosa di troppo che andrebbero cancellate. Un paese normale è un paese nel quale quando si raggiunge un obiettivo si gioisce nell'insieme ringraziando tutti quelli che hanno contribuito ad ottenere quel risultato, non un Paese nel quale ci mette la faccia il ministro o il sottosegretario”.

Ma chi è lo Zaki che oggi il Pd vuole far parlare alle feste dell'Unità e che i sindaci di varie città vorrebbero insignire della cittadinanza onoraria? Lui, Zaki, si al momento si pone come ragazzo uscito da un brutto incubo che sta finalmente coronando il suo sogno d'amore mentre pone le basi di una carriera universitaria. Non senza, però, lasciare la porta aperta ai desideri altrui: non dice sì, ma neanche no, a un futuro impegno in prima linea, visto anche il passato di attivista in Egitto. Dove arriverà Zaki ancora non si sa (dipende anche appunto dalla questione cittadinanza), dove vuole stare ora è certo (Bologna, dice, anche se dovrà tornare al Cairo a organizzare il matrimonio con Reni), ma è certo che questo non era il suo primo piano d'azione, ché Zaki, prima di essere Zaki, era più simile al protagonista di “La cospirazione del Cairo”, film del regista svedese di origine egiziana Tarik……… premiato al festival di Cannes nel 2022, storia della lotta tra potere religioso e temporale sullo sfondo di un'università, con il giovane studente giunto dalla provincia che si trova invischiato suo malgrado in una situazione più grande di lui, tra sotterranei e minareti, in una città caotica e notturna dove i clacson delle troppe automobili fanno da coro alle voci di un mistero che si infittisce tanto più nell'unico luogo di silenzio, il cortile dell'ateneo dove ombre umane e metaforiche prendono corpo.

 

Prima di essere lo Zaki reduce dal carcere e dal mezzo-esilio, infatti, Zaki era infatti uno dei due figli di una famiglia di piccola borghesia egiziana cristiano-copta di Mansoura, cresciuto con la sorella Marise, assieme ai genitori sua voce nei mesi della prigionia, e il sogno di fare il calciatore in un ambiente in cui l'essere copto non era una buona carta per la carriera sportiva. Da lì viene, dicono a Bologna, “una sorta di pallino di Patrick per il tema della discriminazione”. Non è quindi un neofita delle battaglie per i diritti, Zaki, ed è anche per questo che c'è chi a sinistra pensa a lui come volto da spendere quantomeno nei dibattiti, televisivi e non. Già a diciotto anni, dunque, il ragazzo, trasferitosi al Cairo per studiare farmacia (“per aiutare gli altri”, dirà poi, alimentando le fantasie catto-dem di chi lo vede non solo papa straniero ma quasi papa in senso stretto), comincia a frequentare l'ambiente degli studenti che cercano una possibilità di rappresentanza. Il resto lo fa l'eco della rivoluzione di Piazza Tahrir e le successive ondate di ribellione-repressione (il clima in cui poi matureranno arresti molto simili a quelli di Zaki). Ma il giorno più bello della sua vita, oltre a quello della grazia, dirà poi Zaki, è quello in cui, già laureato, riceve da Bologna la notizia dell'accettazione al master di Studi di Genere, percorso accademico iniziato in presenza e completato a distanza, prima della sentenza, il 5 luglio scorso (sul viso imperscrutabile di Zaki è comparso un sorriso più ampio quando, giunto a Bologna dopo la grazia, gli è stato consegnato il diploma cartaceo in un'aula universitaria gremita).

 

L'ultimo giorno a Bologna, quello che fa quasi da prova generale a una futura vita pubblica, inizia con le strette di mano dei passanti che riconoscono Zaki e finisce in Piazza Maggiore, con autorità, professori, fan. Il primo giorno a Bologna, quattro anni fa, come raccontano anche le immagini del “Zaki-una storia egiziana” (ed.Feltrinelli), di Laura Cappon e Gianluca Costantini, il graphic journalist che ha disegnato lo Zaki dei manifesti a suo sostegno, con il mezzobusto del ricercatore circondato dal filo spinato, è un giorno in cui il fuorisede Patrick, volato dal Cairo, si mette a camminare per una città allora sconosciuta dove non conosce nessuno (ma nel giro di un mese, racconta un amico, “conoscerà tutti”, come aveva fatto al Cairo negli anni da studente di Farmacia). Sono anni in cui i prodromi della vita futura ci sono tutti: l'impegno per l'ong Eirp (Egyptian initiative for personal rights) e l'amicizia con l'avvocato Hoda Nasrallah, sua futura legale. Di origine copta, Nasrallah collabora già con le organizzazioni per i diritti umani e sindacali e, dopo la morte di suo padre, ha cominciato a battersi contro la legge sull’eredità basata sulla sharia (che prevede una spartizione diseguale del patrimonio tra uomini e donne). Nel piccolo universo femminile che circonda Patrick, il ruolo di primo piano è quello della madre Hala, impiegata in un ministero del Cairo che ha tenuto il trolley verde di Patrick intatto in camera di Patrick dal giorno dell'arresto a quello della grazia. Sempre in quei primi primi mesi a Bologna Patrick incontra la futura moglie Reny, studentessa fuorisede che racconterà su Facebook la notte dell'arresto del fidanzato, nel febbraio del 2020: “Stavo aspettando con ansia il suo arrivo, mi ero svegliata nel cuore della notte e avevo trovato un suo messaggioche diceva che il volo stava per decollare. Eravamo d’accordo che avrebbe passato qualche ora con la sua famiglia. 'Io vado da mia nonna come ogni venerdì e poi ci vediamo per cena', c’eravamo detti. Ho continuato a provare a scriverti e chiamarti, non sono riuscita a contattarti fino alle 17. Dodici ore dopo il tuo arrivo al Cairo. Ero nel panico, sapevo nel mio cuore che eri stato arrestato, ma stavo negando, continuavo a ripetermi che probabilmente eri solo impegnato con la tua famiglia. Alla fine ho trovato il coraggio di scrivere a tua sorella Marise, che all’epoca non conoscevo, e lei mi ha detto che c’era 'un problema all’aeroporto'. Sono andata lì per incontrarti e sono rimasta lì fino all’una di notte. Non sapevo dove fossi fino al mattino dopo, quando sei apparso a Mansoura. Proprio quando ho iniziato a respirare, sapendo dov’eri, ho ricevuto la notizia che eri stato brutalmente torturato”.

 

Oggi Reny è la ragazza con i capelli rossi e ricci che compare in tutte le foto in cui Zaki, atterrato a Malpensa, accenna un'espressione di soddisfazione con gli occhi semichiusi. E' la vita che riparte nel mondo fuori dal carcere e dalla libertà ridotta dal processo. Sui social invece è già ripartita nella primavera scorsa, quando Zaki è stato assalito dalla realtà dopo una partita Bologna-Juventus da lui commentata on line, attirando gli strali degli haters: “Ho deciso di commentare la partita”, scriverà poi Zaki, “dicendo qualcosa che credo sia molto normale tra i tifosi di calcio di tutto il mondo. Mi sono trovato di fronte a decine di insulti e aggressioni, fino all'odio. Non mi dispiace avere regolarmente discussioni accese con i tifosi di diverse squadre, amo il calcio e apprezzo questo tipo di divertimento. Tuttavia, quando ho scoperto che la gente sperava che io tornassi in prigione e fossi messo a tacere, mi ha davvero colpito come il discorso d'odio possa essere innescato così facilmente. Sinceramente non capisco come questa escalation sia stata così rapida e perché dopo due anni di silenzio, vengo attaccato dalle stesse persone che una volta mi sostenevano, solo perché ho detto la mia opinione sulla partita. In un mondo pieno di ogni sorta di censura da parte di vari attori, io scommetto sempre sulla gente per proteggere i diritti di libertà di parola degli altri anche se non sono d'accordo”.

 

“Fate sapere che sono qui perché sono un difensore dei diritti umani e non per un qualsiasi altro motivo inventato”, scriveva Zaki alla famiglia in una lettera dal carcere. Chi lo conosce racconta che lo Zaki di oggi è nato nel 2018, ai tempi della campagna per Khaled Ali, avvocato e attivista politico impegnato nella difesa dei diritti umani che aveva a un certo punto ritirato la candidatura denunciando l'arresto dei suoi collaboratori. Ed è per quei trascorsi che alcuni leader politici vedono in lui un potenziale oggi negato dal protagonista della vicenda. Che, non si sa se per modestia o per una punta di falsa modestia, sottolinea il desiderio di essere come tutti: “Abbiamo mangiato pizza, gelato, pasta”, ha detto descrivendo la sua giornata da turista di ritorno. Solo che, come gli ha detto Reny il giorno della condanna, “ormai tutto il mondo è con te”. E chissà se è possibile, politicamente parlando, tornare indietro, a quando si era perfetti sconosciuti.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.