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Gli zelanti di Giorgia

FdI caccia Saviano dalla Rai e trasforma uno scrittore in crisi di idee in un martire

Salvatore Merlo

L'epurazione da Viale Mazzini rischia di tornare al mittente come un boomerang: un autoaffondamento. Perché la vera forza di un licenziamento o di una censura è ingigantire chi ne è vittima

Come fare di Bombolo un fiore del male, questa è la censura all’italiana. E la cacciata di Roberto Saviano dalla Rai ora torna in faccia a FdI come uno sputo controvento. Non c’è infatti artista italiano, scrittore, vero o falso, ispirato o disperato che sia, il quale non cerchi come in sogno una splendida censura da parte del governo di qualsiasi risma e colore esso sia. E ieri un plotone di sergenti censori, di zelanti interpreti d’altrui malumori, l’ha spuntata sui dirigenti della Rai che non hanno saputo resistere: la trasmissione di Saviano, già  confezionata e registrata, non andrà  in onda. Costretta prima a sollevare Filippo Facci dalla conduzione tv per una frase infelice che non era piaciuta alla sinistra, la Rai è stata  ora costretta a sollevare anche  Saviano che aveva insultato Giorgia Meloni e Matteo Salvini. “Ma come Facci lo cacciate e Saviano no?”.

Da circa una settimana  alcuni deputati e senatori di FdI facevano marciare  le loro dichiarazioni chiedendo la testa dell’insultatore proprio come nella tarantella di Morricone del film “Allonsanfàn” quando  battono i forconi. Iannone, Malan, Berrino, Satta, Filini, Montaruli, Kelany, Messina, Caramanna, Speranzon, Antoniozzi, Marceschi, Foti... Chi chiedeva di cacciarlo, chi quasi avrebbe voluto punizioni corporali. Solo che questa marcia di parole, divenuta  epurazione tv, alla fine rischia di tornare al mittente come un boomerang. Un autoaffondamento. E rende persino credibile la ripetuta accusa di “fascismo” di Saviano che fino a ieri era solo ridicola, visto che il dissidente aveva un posto in Rai. Hanno trasformato il rospo in Sakharov. C’è infatti da chiedersi se questi deputati e senatori, compresi i dirigenti della Rai, abbiano  fatto un buon servizio al centrodestra o se invece con la loro solerzia abbiano danneggiato persino la presidente del Consiglio che si occupa di Joe Biden e della Cina, mica di Saviano. La censura è infatti la spezia del proibito. E  può trasformare uno scrittore in crisi, uno che non viene pubblicato nemmeno dal giornale che lo paga,  in Oscar Wilde.  Nessun italiano misurato, ascoltando Saviano, ha mai riconosciuto in quelle sue parole  sgangherate la coscienza critica del popolo. Al contrario, chi sputa per terra, chi dà all’altro del “bastardo“, sempre diventa il proprio urlo e il proprio insulto. Ma ora questa inconcludente prepotenza  non  può avere che un risultato: la solidarietà  nei confronti di Saviano. E’ infatti questa la vera forza di un licenziamento o di una censura: ingigantire chi ne è vittima. 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.