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Scontro sul Pnrr, perché Meloni ha deciso di rompere con Gentiloni

"Altroché verificare i target Recovery, vogliono farci le analisi del sangue".

Valerio Valentini

L'attacco frontale in Senato fa trasalire i tecnici della Commissione: "Ci sarà un prima e un dopo nei rapporti con Roma". L'affanno sul Recovery, la paura di cedere consensi a Salvini, la rabbia di Fitto, che prova a spiegare all'Eurogruppo il pastrocchio sul Mes, mentre la maggioranza punta a sospendere tutto

I tecnici  della Commissione che lavorano con lui, a leggere dell’attacco rivoltogli da Giorgia Meloni, sono trasaliti: “Una cosa del genere segna un prima e un dopo”. Ma tra le due fasi, tra il prima e il dopo, c’è stato un tribolato intermezzo. Ed è lì che è maturata l’insofferenza della premier nei confronti di Paolo Gentiloni. La fine del “prima” si consuma a inizio giugno, in una riunione del gotha della Fiamma. È lì che la capa di FdI, dopo essersi fatta ragguagliare da Fitto sul perché di tanto accanimento di Bruxelles sul Pnrr, sbotta: “Siamo alle solite, vogliono farci le analisi del sangue, altro che verificare i target del Recovery”.

    
Siamo sempre lì, alla paranoia nazionalistica:  l’Europa dei burocrati ce l’ha con l’Italia, e ancor più con l’Italia che svolta a destra. A questo del resto allude anche Raffaele Fitto – che pure s’è ritagliato un ruolo da mediatore, e che non a caso ieri s’è affrettato a voler incontrare Gentiloni, a Bruxelles, per un incontro che da entrambe le parti viene definito “costruttivo” – quando ripete  alla premier: “Qualcosa è cambiato. Dove prima passava un elefante, ora non passa neppure uno spillo”. Insomma la Commissione che si fa nemica, che cavilla  laddove a Mario Draghi condonava: questa è la tesi. E così, quando Gentiloni interviene al Festival dell’Economia di Torino, il 1° giugno, e sollecita il governo a fare bene e fare in fretta, sul Pnrr, a Palazzo Chigi sbottano.  “Se vogliono farci le analisi del sangue, allora cambia tutto”, dice Meloni ai suoi.  

 
E lì in effetti qualcosa cambia davvero, se perfino Antonio Tajani, in Transatlantico, due giorni fa, mentre i cronisti gli chiedevano delle raccomandazioni del commissario agli Affari economici sul Mes, allargava le braccia: “Vabbè, ma  Gentiloni fa politica”. Poche ore dopo, in Senato, l’attacco frontale di Meloni: “Mi fa specie che Gentiloni oggi chiami in causa il governo sul Pnrr”. Ecco, lì che si fosse arrivati al “dopo” è diventato chiaro. 

 
E sì che c’è stato, invece, pure un “prima”. Ed è durato a lungo. Ed è stato pieno di contatti costanti, perfino quotidiani, tra la premier e il commissario. Ed era un “prima” che aveva ovviamente la benedizione del Quirinale, e che in certi passaggi, su certe nomine, ha fatto sbuffare perfino i leghisti: “La solita melassa romana”. 

 
Poi qualcosa s’è rotto. E forse, a voler uscire dalla narrativa del Colle Oppio, ci sarebbe da dire che il piano s’è inclinato quando a Meloni s’è imposta una scelta chiara, sul Pnrr: e cioè se cercare sponde politiche per negoziare su un dossier proibitivo, rinunciando però alla propaganda sovranista, oppure buttarla in politica e lanciare scomposte accuse a Draghi, a Gentiloni, alla Bce, per giustificare un affanno ormai conclamato. E se alla fine Meloni  ha ceduto all’incanto del nostos sovranista, è forse anche perché soffre davvero la minaccia di un Salvini tornato a cavalcare l’antieuropeismo.

 
E allora pure Gentiloni, uno che a Bruxelles fa quel che può per non lasciare deflagrare le tensioni che ci sono, e che crescono, per i ritardi italiani sul Pnrr, che ci sono e che crescono, diventa un nemico. Anche quando dice l’ovvio, e cioè che la mancata ratifica del Mes danneggia l’Italia a Bruxelles, viene tacciato di  tradimento alla patria. Ieri, del resto, sul paradosso, Gentiloni è stato interrogato pure da Paschal Donohoe, il presidente irlandese dell’Eurogruppo che non sa più come fare, per sollecitare Meloni alla ratifica, e per questo ha chiesto che se ne occupi, oggi, il Consiglio europeo. E ignorava, Donohoe, che intanto a Roma le migliori menti del patriottismo, dopo aver disertato pure ieri i lavori della commissione Esteri della Camera, hanno deciso di delegare oggi un loro deputato, in Aula, per la discussione  sul Mes, nell’attesa di chiedere, la prossima settimana, una sospensiva di qualche mese per bloccare tutto. Vaglielo a spiegare, a un irlandese.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.