“Su pm e giornalisti Berlusconi un po' aveva ragione”. Parla Buccini

Luciano Capone

"L'invito a comparire del 1994 è stata una delle scelte più sbagliate che la procura di Milano potesse fare. Noi giornalisti di sinistra abbiamo mitizzato i pm. Serve una riforma della giustizia", dice lo storico cronista del Corriere

“Berlusconi non ha creato un’Italia di nemici, l’Italia era già molto divisa prima di lui. Berlusconi semplicemente ha amplificato la divisione di questo paese. E la questione giudiziaria che gli si rovescia addosso quando diventa presidente del Consiglio ne è l’esempio più chiaro”. Goffredo Buccini, editorialista del Corriere della Sera, è colui che da cronista diede il là al lungo scontro tra il Cav. e la magistratura con la pubblicazione sul Corriere, il 21 novembre 1994, del celebre “invito a comparire” della procura di Milano mentre Silvio Berlusconi presiedeva a Napoli una conferenza internazionale sulla criminalità organizzata.

 

“Ho sempre pensato che sia stata una delle scelte più sbagliate che la procura potesse fare”, dice ora Buccini. La tempistica di quella comunicazione giudiziaria, per giunta arrivata a mezzo stampa, fu un attacco politico al governo. “La procura di Milano ha sempre detto che c’erano specifiche ragioni tecniche per la scelta di quei giorni, ma è evidente che una cosa del genere nei confronti del presidente del Consiglio mentre rappresenta l’Italia non sia una buona idea. Anche perché se il Corriere non l’avesse pubblicata sarebbe uscita lo stesso durante il vertice. Abbiamo solo anticipato i tempi”. Paolo Mieli, all’epoca direttore del Corriere e non certo un berlusconiano, ora dice che quell’informazione è uscita dal Palazzo di Giustizia ed è infastidito dal fatto che la procura insinuò che fosse filtrata dall’entourage berlusconiano. “Capisco il fastidio di Paolo – dice Buccini – perché l’ipotesi che l’abbia rivelata Berlusconi farebbe di noi degli utili idioti di Berlusconi, e neppure necessariamente utili. Ma starei fuori da questo gioco, che funziona nello scoprire la fonte per esclusione. Non mi voglio prestare perché non ho mai ritenuto opportuno rivelarla”.

 

A distanza di trent’anni Buccini, che è stato uno dei protagonisti del cosiddetto circo mediatico-giudiziario che è stato un meccanismo collaudato degli anni di Tangentopoli, nel libro “Il tempo delle Mani pulite” (Laterza) ha però sviluppato in retrospettiva una visione molto più critica di ciò che è accaduto in quel periodo storico. E ora sta preparando un altro saggio che affronta ciò che si è rotto nel rapporto tra politica e giustizia. “Quando Berlusconi diceva che i giornalisti erano tutti comunisti si trattava di un’iperbole delle sue, ma c’era un fondo di verità. Tutta la mia generazione era cresciuta dentro alla sinistra. Salvo alcuni casi di colleghi eccellenti, la stragrande maggioranza veniva dal Pci, dalla Fgci o dall’estrema sinistra. E la verità che noi ci portavamo dentro era che Craxi era un bandito, la Dc corrotta e via di seguito. Se questa è la verità che porti nell’animo e l’inchiesta ti dice proprio questo, il rischio è che il cronista non cerchi nient’altro. Da questo deriva la mitizzazione di Di Pietro e degli altri pm e la visione unitaria e univoca di una vicenda che era più complessa”.

 

Con Berlusconi lo scontro tra politica e magistratura è sembrata una battaglia personale. Ma avversari che si sono trovati nel suo stesso ruolo, come Matteo Renzi e Massimo D’Alema, ora ammettono che nei confronti del leader di Forza Italia c’è stata una forma di persecuzione giudiziaria. “C’è ancora un evidente squilibrio tra politica e magistratura, il ‘caso Berlusconi’ è stato una manifestazione del più ampio ‘caso giustizia’. Da questo punto di vista D’Alema e Renzi non sono dei veri avversari di Berlusconi, perché sono quelli che come lui hanno cercato di riformare il paese. Il primo con la Bicamerale e il secondo con la riforma costituzionale. Paradossalmente le ha fatte saltare entrambe Berlusconi”.

 

È possibile anche, come si dice, che Berlusconi sia stato un alibi e un ostacolo alle riforme. Però neppure gli altri ce l’hanno fatta e c’è la sensazione che neppure ora che lui non c’è più sarà semplice riformare la giustizia. “Sono favorevole alla riforma Nordio e anzi penso che servano ulteriori passi in avanti. Si deve arrivare alla separazione del Csm, senza della quale la separazione delle carriere non serve a nulla, e bisogna porre fine alla finzione dell’obbligatorietà dell’azione penale. È un principio meraviglioso che applicato alla realtà diventa puro arbitrio”.

 

Per stare sul tema dell’obbligatorietà dell’azione penale e della persecuzione giudiziaria, Berlusconi è stato indagato per decenni, fino alla sua morte lo era dalla procura di Firenze, con l’accusa di essere il mandante delle stragi di mafia, persino della bomba contro il suo amico Maurizio Costanzo e Maria De Filippi, che ieri era al suo funerale. “Ed è stato archiviato quattro volte. L’idea che si possa aprire la stessa inchiesta per la quinta volta perché il pm trova un altro malacarne che dice qualcosa è grottesco. In questi giorni c’è chi santifica Berlusconi e chi dice che voleva uccidere Maurizio Costanzo. Si potrà mai trovare una via mediana tra opposte idiozie?”.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali