il caso

Salvini teme la figuraccia sul Pnrr e nasconde i dati del suo ministero a Fitto

Valerio Valentini

La relazione del Mit sulle opere in ritardo non c'è ancora. A Palazzo Chigi la attendono dal 24 maggio. Il leader leghista teme di finire commissariato e rimanda la stesura del dossier. Ma l'incognita vale 60 miliardi 

Le rispettive diplomazie s’affannano già a ridimensionare l’incidente: “I due si sono parlati, tutto chiarito”. Solo che i due, nella fattispecie, sono Matteo Salvini e Raffaele Fitto, e tra loro non corre esattamente buon sangue. Figurarsi quindi quanta voglia ci sia, da una parte e dall’altra, di fornire spiegazioni. E però pure quelle andranno date, perché tredici giorni iniziano a essere davvero tanti. E altri ancora ce ne vorranno, a quanto pare. E siccome col Pnrr il tempo non è una variabile negoziabile, ci sta che la tensione salga. Come che sia, il dossier che Salvini doveva offrire a Fitto per documentare ritardi e complicazioni dei progetti del Recovery di competenza del Mit ancora non c’è. A Palazzo Chigi lo attendono dal 24 maggio.

Era quella la scadenza che il ministro per gli Affari europei aveva indicato, il 18 maggio scorso, ai colleghi di governo: di lì a una settimana avrebbero dovuto inviargli una relazione in cui si dava conto delle opere con maggiori difficoltà di realizzazione nell’ambito del Pnrr. E sì che già quello era parso un intervento tardivo, da parte di Fitto, incalzato com’è dalla Commissione europea a stilare un piano di modifiche dettagliato del Piano. E invece oggi l’ex presidente della Puglia si vede costretto a dissimulare, a spiegare che quello del 24 maggio “non era un termine perentorio”, che insomma “qualche giorno in più non è una tragedia”.
  Solo che qui, nel caso di Salvini i giorni in più sono davvero tanti. Tredici, finora. E sarà pure, come il segretario della Lega ha spiegato a Fitto, che il rinnovo dei vertici di Rfi ha imposto un supplemento d’analisi. Sarà pure, insomma, che sui quasi 25 miliardi che la  società partecipata del Mit dovrà gestire sul Pnrr, Salvini vuole avere un quadro chiaro, e vuole averlo da quel fidato Gianpiero Strisciuglio eletto ad proprio il 22 maggio, prima di riferire al responsabile degli Affari europei.

Sta di fatto, però, che nel leggere la Relazione semestrale licenziata dal governo la scorsa settimana, gli addetti ai lavori – e pure qualche esponente veneto della Liga – hanno sobbalzato. Perché ad esempio, sulla Tav veneta, per cui nel Pnrr sono stanziati 3,6 miliardi, viene riportato uno stato di avanzamento assai precario, e ben tre criticità su quattro nelle scarne tabelle incluse nel documento. Cosa significa, dunque?  Che si rischia di perdere i fondi europei? Il sospetto deve essere circolato parecchio, ieri, anche dalle parti del Carroccio, se alla fine il Mit ha diramato una nota per dire che “sull’andamento dei progetti finanziati con fondi Pnrr e gestiti dal Mit, a partire dalla Tav veneta, si ribadisce la determinazione del ministero di realizzare tutte le opere”. E certo la rassicurazione va registrata, come pure, però, va notato che nella Relazione di Fitto, a pagina 124, laddove si parla in generale delle “difficoltà normative, amministrative e gestionali” del Pnrr, c’è un riferimento esplicito proprio alle complicazioni che “incidono in maniera significativa” sulla realizzazione di infrastrutture, col Mit che compare  come unico dicastero citato in merito a questo allarme. Ed ecco che ci si sofferma proprio sulla Componente 1 della Missione 3 del Piano, quella degli “investimenti sulla rete ferroviaria”, che “gode di un finanziamento Pnrr molto rilevante, pari a 23,86 miliardi di euro”. Ebbene, “l’attuazione di tale Misura può essere condizionata da ritardi determinati da aspetti di tipo procedimentale e  progettuale”.

Un’annotazione non proprio di conforto. Tanto più se si pensa che il Mit dovrà gestire ben 40,7 miliardi di fondi del Recovery, e cioè più di un quinto del totale, e che a questi vanno poi aggiunti altri 21 miliardi di risorse nazionali. Una montagna di soldi, su cui però non esiste ancora una relazione ufficiale del Mit a disposizione di Fitto.  Et pour cause, viene da dire. Ché sicuramente il rinnovo della dirigenza di Rfi ha influito, ma è evidente che a suggerire a Salvini un’estrema cautela nel comunicare dati poco rassicuranti sull’avanzamento dei suoi progetti c’è senz’altro il rischio di vedersi in un certo senso commissariato proprio da Palazzo Chigi.

Perché al termine di questo processo di monitoraggi, quando  anche il Mit avrà fornito il suo dossier a Fitto, la cabina di regia del Pnrr provvederà da un lato, per gli  interventi di interesse nazionale, a promuovere un “supporto rafforzato” per l’attuazione della misura, sottraendo  al soggetto attuatore il controllo esclusivo sui cantieri; dall’altro, e sarebbe anche peggio, “si proporrà la riprogrammazione delle risorse corrispondenti verso impieghi più efficienti”. In un caso o nell’altro, per Salvini significherebbe dover ammettere le proprie mancanze, e magari cedere la cassa a Palazzo Chigi. Ed è evidente che per chi, come lui, sta cercando di ricostruirsi una narrazione come “ministro del fare”, sempre lì a inaugurare cantieri e tagliare nastri, sarebbe un grosso problema politico.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.