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Il caso

Meloni e le riforme: "Sul premierato pronta al referendum, non mi fido del Terzo polo"

Simone Canettieri

Durante la riunione con i vertici di Fratelli d'Italia la premier si è detta pronta a rimettersi a volere dei cittadini. "Ma toccheremo i poteri del Quirinale"

“Inutile perdere tempo in bicamerali o  inseguire quelli del Terzo polo. Io di Renzi e Calenda non mi fido. E comunque, anche se alla fine ci stessero, non ci servirebbero:  con i loro voti non arriveremmo ai 2/3. Dunque andiamo avanti. Però magari la prossima volta evitiamo di spifferare queste riunioni in giro, alla stampa intendo”.  Una settimana fa Giorgia Meloni ha convocato, ascoltato – e strigliato – i vertici del suo partito. Era la sera del 31 maggio. E’ stata la prima mossa politica dopo il giro di consultazioni della premier con le opposizioni a Montecitorio. Un tentativo di prassi, con timidi abboccamenti, che è servito a Meloni per dare forza a convinzioni che già aveva. Lascerà il sogno del  presidenzialismo, si butterà sul premierato, senza paura di quella formula magica che non porta bene agli inquilini di Palazzo Chigi: “Referendum”. 


E quindi ha detto Meloni con una certa enfasi: “Daremo la parola agli italiani: sono pronta al referendum”. Il disegno di legge di riforma costituzionale sarà presentato a settembre. Partirà dalla Camera, perché il Senato sarà impegnato con la manovra e con l’Autonomia (che ieri ha terminato il giro di audizioni e ha visto fissare il termine per presentare gli emendamenti in Commissione entro il 22 giugno).

La cornice di come cambierà l’architettura istituzionale del paese è ormai abbastanza chiara: la premier non vuole entrare in conflitto con il Quirinale. Anche perché il capo dello stato Sergio Mattarella gode di una popolarità acclarata e indiscussa. Proprio a questo proposito, la capa di Fratelli d’Italia si è raccomandata con i colonnelli di presentarle una proposta che “non vada in conflitto con il Colle”. La strada più agevole da percorre è appunto quella del premierato. E cioè l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Anche se è ancora presto l’iter legislativo sembra scontato: l’articolo 138 della Costituzione che prevede due diverse deliberazioni di Camera e Senato sul medesimo testo, a distanza di almeno tre mesi l’una dall’altra.

 
Uno degli obiettivi di Meloni sarebbe quello di arrivare al primo sì delle Camere entro il 9 giugno del 2024, quando si svolgeranno le elezioni europee, il vero trampolino di lancio per cercare di sovvertire gli equilibri politici che da tanti anni governano la Commissione a Bruxelles. Impresa non facile, viste le proiezioni di Popolari e Conservatori. Ma di sicuro usare i palchi della campagna elettorale per raccontare anche i passi avanti svolti dal Parlamento “per dare stabilità all’Italia con premier scelti dal popolo” sarebbe il miglior modo per iniziare la lunga marcia referendaria, quella costata cara a molti suoi predecessori (su tutti, nel 2016, Matteo Renzi).

Se in seconda deliberazione la riforma non dovesse ottenere i 2/3 dei voti delle Camere (maggioranza qualificata) allora si aprirebbero con una certa sicurezza le strade del referendum confermativo, che non prevede il quorum costitutivo. Una ordalia che Meloni è convinta di superare. Oggi di sicuro, almeno secondo i sondaggi che girano. L’ultimo, realizzato dalla società demoscopica Noto per “Porta a Porta”, dà Fratelli d’Italia al 28,5 per cento (percentuale in aumento dello 0,5 rispetto all’ultima rilevazione dello scorso 25 maggio). Il Pd perde un punto, fermandosi al 20,5. In terza posizione si colloca il M5s con una percentuale del 15, guadagnando un punto. Segue la Lega stabile al 9,5, così come Forza Italia che rimane al 7. Resta stabile anche Azione-Italia Viva al 6,5, mentre Verdi-Sinistra sale al 3,5 (+0,5). Per quanto riguarda le coalizioni, il centrodestra (FdI-Lega-FI-Noi moderati) raggiunge il 46,5 (+0,5), mentre il centrosinistra (Pd-Verdi-Sinistra-+Europa) è al 26 (-0,5). Intenzioni di voto, da prendere con le pinze, che in questo momento gonfiano il petto del partito della nazione. Ma fra due anni, dunque nel 2025, Fratelli d’Italia e il resto del cucuzzaro avranno lo stesso favore degli elettori? Oppure il referendum si trasformerà in un grande fronte in difesa della Costituzione più bella del mondo per mandare a casa la leader?

Meloni è sicura di farcela, anche se mette in conto, come confessato a Nicola Porro durante l’intervista dell’altro giorno a “Quarta Repubblica”, una fisiologica erosione del consenso. Intanto il primo giro di tavolo della scorsa settimana è stato lo start di una lunga corsa. Nelle prossime settimane è prevista un’altra riunione sempre con tutti i big di Fratelli d’Italia. “Magari – ha ammonito la premier – non me lo fate leggere prima sui giornali, la prossima volta”.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.