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L'intervista

"Il Pd alzi la voce. Dobbiamo incalzare Meloni sul Pnrr". Parla Sarracino

Valerio Valentini

“L’incapacità del sovranismo meloniano di gestire situazioni complesse è evidente. Serve un’operazione popolare, non solo parlamentare, che racconti al paese cosa significherebbe fallire sul Recovery", dice il deputato che fa parte della segreteria Schlein

Non è che la minaccia la neghi. “Questa destra è quel che è: regressiva, oscurantista, identitaria”. E’ solo che, anziché gridare contro la paventata svolta autoritaria, “c’è invece un rischio assai più concreto, e anzi più che un rischio è un’evidenza, che è quella dell’incompetenza”. Ed è su questo, allora, che secondo Marco Sarracino, membro della segreteria nazionale del Pd, il partito dovrebbe dare battaglia. “L’incapacità del sovranismo meloniano di gestire il governo di situazioni complesse è evidente. E la si riscontra, non a caso, sul dossier più  strategico: quello del Pnrr”. Il rischio, dunque, più che del fascismo, dello sfascismo? “C’è di più”, spiega il deputato, responsabile del Sud nella segreteria Schlein. “C’è che se pensiamo ai valori di questa destra, alle sue parole d’ordine, è fatale che il Pnrr, puntando su riduzione delle disuguaglianze e transizione ecologica, risulti quasi la negazione del loro programma. Come si concilia l’autonomia di Calderoli con il rafforzamento della coesione territoriale del Pnrr?”.

Dunque Sarracino invoca la risolutezza delle opposizioni: “Sul Recovery dobbiamo incalzare di più il governo”. Tanto più dopo l’intervento sulla Corte dei conti. “E’ una scelta profondamente sbagliata. Anzitutto per una questione di metodo: se si vuole modificare un pezzo della governance del Pnrr, lo si fa in modo ragionato, concordando il tutto con Bruxelles. Invece qui si è scelta la soluzione del blitz parlamentare, pochi giorni dopo che la Corte dei conti aveva avanzato delle osservazioni critiche sull’attuazione del Piano”. Una ritorsione? “Beh sicuramente siamo dinanzi ad una strana coincidenza. E a questi passaggi bisogna stare attenti, perché a Bruxelles sono molto sensibili sul rispetto dei bilanciamento dei poteri, come dimostra la condanna della Corte di giustizia europea sulla violazione dello stato di diritto in Polonia, dove governano proprio gli alleati di Meloni. Dopodiché, sul Pnrr non sono ammesse operazioni estemporanee. La Commissione europea aveva chiesto ai vari stati membri di individuare un controllore nazionale che vigilasse in corso d’opera sul Pnrr. Occorre evitare eventuali conflitti d’interesse, sprechi, o magari interferenze da parte delle mafie, sempre in agguato. E’ proprio sulla base di queste richieste che il governo Draghi aveva definito, concordandoli con la Commissione, i poteri di vigilanza della Corte dei conti. Adesso Meloni li modifica senza fornire alcuna spiegazione, col rischio che il tutto complichi le relazioni tra Roma e Bruxelles”.

Fitto potrebbe dire che anche quello fu un errore di Draghi che lui ha ereditato. “Questa retorica dello scaricabarile va diventando francamente ogni giorno più patetica. Anzitutto perché Meloni governa da sette mesi. Ci dica: da quand’è che si assumerà le responsabilità dei propri errori? Fitto ha impiegato mesi prima di modificare la governance, pur consapevole che questo avrebbe necessariamente aumentato il rischio di rallentamenti nella macchina attuativa. Però dei presunti eccessi di controlli della Corte dei conti si ricorda solo ora? Inoltre, ricordo a Fitto e Meloni che se davvero questo Pnrr è stato costruito così disgraziatamente, allora qualche domanda dovrebbero farla anche ai loro alleati, no? Forza Italia e Lega stavano al governo e approvarono il Piano in Parlamento, quando venne realizzato, nella primavera 2021. Ma capisco che la coerenza non sia una virtù, a destra. Altrimenti dovrebbero spiegare, Lega e FdI, come mai nell’aprile del 2021 volevano addirittura rafforzare ed estendere i poteri di controllo concomitante da parte della Corte dei conti sul Pnrr. Quel ddl giace ancora al Senato: i primi firmatari sono illustri esponenti di Lega e Fdi. Ora, delle due, l’una. O i primi a strumentalizzare politicamente la magistratura contabile sono proprio Salvini e Meloni, oppure il dubbio che una volta andati al governo diventino insofferenti ai controlli che volevano potenziare quando erano all’opposizione si fa legittimo”.

E il Pd, allora? Cosa deve fare? Perché appare un poco afono, disorientato? “E’ chiaro che tutto questo deve spingere il Pd ad una reazione forte. Non solo di carattere parlamentare. Serve un’operazione popolare che racconti al paese cosa significherebbe fallire sul Pnrr. Ma anche un’opposizione di prossimità, al fianco di chi vede i propri diritti negati, a chi rinuncia a curarsi perché la sanità costa. Un Pd utile insomma. E’ importante partecipare alle piazze degli altri, dei sindacati, di chi protesta, ma ora è il tempo di una mobilitazione del Pd. Non solo contro il governo ma anche per una nuova idea di paese”.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.