Sul Pnrr l'Italia si fa male da sola. Ecco perché Meloni è in affanno nelle trattative con Bruxelles

Valerio Valentini

Altro che guerra e inflazione. La Relazione di Fitto dimostra che il grosso dei ritardi sul Recovery dipendono dalla nostra burocrazia: e su quel campo, la Commissione non sarà flessibile. Intanto su RePowerEu e modifiche del Pnrr una sola certezza: i ritardi aumentano

Va detto che la sincerità non manca. Perché mettere nero su bianco, proprio nelle settimane disgraziate delle esondazioni in Romagna, che i due progetti più tribolati del Pnrr riguardano “la gestione del rischio di alluvione e  idrogeologico” e  “investimenti in fognatura e depurazione”, entrambi obiettivi in capo al ministero dell’Ambiente, dimostra che Raffaele Fitto non ha voluto occultare nulla, nella sua Relazione semestrale. Che però lascia intendere anche come e perché l’Italia stia trovando enormi difficoltà nel giustificare a Bruxelles le richieste di modifica del Piano.

E’ un affanno confessato in modo implicito, quello del governo. Ma che pure emerge chiaramente nella Relazione, laddove si passa in rassegna – in maniera, va detto, alquanto sommaria  – le 120 misure su cui si registrano i ritardi peggiori. Ora, queste complicazioni vengono ricondotte dai tecnici del ministero per gli Affari europei a due matrici fondamentali. Una è quella legata a “eventi e circostanze oggettive”, l’altra è quella delle “difficoltà normative, amministrative, gestionali”. Alla prima categoria, che concerne “shock esogeni e altri fattori esterni”, e dunque essenziale inflazione e squilibri di mercato,  si riferiscono i ritardi di 59 opere. Sono invece  76 i traguardi su cui si riscontrano problemi legati all’altra causa (in alcuni casi, com’è ovvio, ci sono difficoltà dovute a entrambe le ragioni).

Contabilità allarmante, questa, e per un motivo semplice. Secondo i regolamenti della Commissione europea,  le modifiche ai vari Piani di riforme nazionali possono essere giustificati solo in presenza di due evidenze. La prima riguarda appunto le “circostanze oggettive”: un’opera che non può essere realizzata in virtù dell’incremento esponenziale dei prezzi energetici registratosi dopo l’invasione russa all’Ucraina,  rientra dunque in questa categoria. In secondo luogo, però, lo stato membro, nel proporre una modifica del piano, deve poter dimostrare che l’opera sostitutiva è pensata in modo tale che non rischierebbe di essere esposta a quegli stessi problemi generati da cause di forza maggiore. Ebbene, è evidente che in quei 76 casi in cui i ritardi del Piano sono riconducibili a “difficoltà normative, amministrative, gestionali”, queste condizioni non ci sono: l’Italia, su queste opere, faticherà molto a chiedere una modifica.

Il governo, infatti, non potrà appellarsi al mutato scenario macroeconomico o geopolitico, dal momento che, come si legge nella stessa Relazione, le cause di questi ritardi stanno nelle storture della nostra burocrazia e nelle mancanze della Pa. Alcuni esempi citati: “inefficiente gestione delle risorse e dei processi”, “complessità delle pratiche di accesso ai fondi Pnrr”, “ritardi per il rilascio di pareri ed autorizzazioni”. Non solo: perfino l’utilizzo del ReGis, il portale attraverso cui la Ragioneria generale del Mef aggiorna e controlla lo stato di avanzamento dei progetti,  “ha richiesto un notevole sforzo da parte dei soggetti attuatori, con ripercussioni nella rapidità del processo di caricamento iniziale delle informazioni necessarie”.

E’ evidente, dunque, che su tutte queste complicazioni non si potrà chiedere alcuna flessibilità a Bruxelles. Perché le bizzarrie della nostra Pa non rientrano tra le “circostanze oggettive” elencate nei regolamenti della Commissione, e perché simili lungaggini affliggerebbero anche gli eventuali progetti sostitutivi. Dunque anche le vaghe suggestioni di una “trattativa con l’Ue” per trasferire sul RePowerEu i fondi inizialmente destinati al Pnrr che si reputano inutilizzabili, a Bruxelles vengono valutate per quello che sono, e cioè solo “un’idea su cui ancora non c’è stato alcun confronto reale”. E del resto è a tal punto vago, il progetto del governo, che l’Italia resta l’unico dei 26 stati membri a non aver comunicato alla Commissione la cifra di prestiti per il RePowerEu di cui vorrebbe avvalersi. Anomalia confessata dallo stesso Fitto nella sua relazione, laddove scrive che  “la richiesta di nuovi fondi, “senza indicarne l’ammontare”, è stata fatta “ a titolo meramente prudenziale”.

Insomma ce ne sarebbe abbastanza per rendere la trattativa con la Commissione assai complicata, in vista della modifica del Pnrr. E invece, oltre a tutto questo, c’è anche la Corte di conti che protesta ufficialmente con un comunicato diramato dalla sua Associazione magistrati contro le misure inserite nel decreto Pa, su cui oggi si voterà la fiducia alla Camera. Non proprio il modo migliore per rassicurare Bruxelles sulla solidità delle garanzie espresse venerdì scorso alla Commissione da Fitto e Giorgia Meloni circa la “cordiale e proficua” collaborazione tra governo e Corte dei conti. 

Di più su questi argomenti:
  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.