Uss chi? Distratti, ma per legge. Non svegliate i servizi segreti

Valerio Valentini

I vertici dell'intelligence s'aggrappano ai cavilli della norma 124 per giustificare la loro passività sul caso del russo esfiltrato. Le accuse a Nordio, gli alibi surreali. I timori meloniani per una tensione tra Fini e Mantovano. Epica di un pastrocchio

Dunque l’alibi starebbe, manco a dirlo, in un comma. Sacra potenza dell’italica cavillosissima burocrazia, che non risparmia ovviamente neppure i servizi segreti. Il comma è il 4, dell’articolo 4 della legge 124 del 2007: quella che disciplina l’operato dell’intelligence. Ed è a quelle oscure righe che ora i vertici del Dis, dell’Aisi e dell’Aise s’appellano, nell’ambito dei chiarimenti informali chiesti da membri del governo, per giustificare la loro indolenza nel pasticcio che ha riguardato Artem Uss. Ché insomma, è il senso delle spiegazioni, loro, i servizi, davvero non sapevano nulla. Di più, non potevano sapere nulla. Perché a norma di legge, appunto, le informazioni in possesso della forze di polizia, se coperte da segreto istruttorio, “possono essere acquisite  solo  previo  nulla  osta  della  autorità giudiziaria competente”. Insomma, non potevano intrufolarsi. Ed è nelle more di questo codicillo che dunque l’alibi perfetto del “noi non sapevamo, nessuno ci ha detto niente”, prova a trovare nuova consistenza.

Un cittadino russo, figlio di un governatore siberiano, vicino a Putin, indagato per contrabbando di petrolio e di materiale militare, su cui pendeva una richiesta di estradizione da parte degli Usa, è scappato dall’Italia come se nulla fosse. E però, ecco spiegato l’arcano, “il comma 4 dell’articolo 4 parla chiaro”. Talmente chiaro, peraltro, da consentire ai vertici del controspionaggio di potere anzi scaricare su altri le responsabilità della figuraccia internazionale dell’Italia: “Perché a noi dal ministero della Giustizia nessuno ci ha detto niente?”.

Quello, infatti, la legge 124 lo consente. “L’autorità giudiziaria può trasmettere gli atti e le informazioni anche di propria iniziativa” al Dis, si legge nella norma. Dunque perché nessuno, da Via Arenula, ha segnalato il caso? La grammatica istituzionale, fanno notare a Piazza Dante, impone le sue regole. Il dipartimento di Giustizia americano scrive, e in più di un caso, al ministero di Nordio. Non è l’Fbi a sollevare il caso, non è la Cia ad attivarsi. Dunque, i servizi possono attendere che sia Via Arenula a farsi viva, e nel frattempo beatamente sonnecchiare. “Lo dice la legge…”.
Manco i servizi fossero, ohibò, l’Istituto d’igiene, il Provveditorato agli studi: devono attendere una carta timbrata per attivarsi? E’  un perverso concetto di responsabilità – più degno del Checco Zalone abbarbicato agli agi miseri del posto fisso che non degli 007 mossi dall’ansia di garantire la sicurezza del paese – che è riassumibile così: “Nessuno ci obbliga, dunque non ci riguarda”. Qual è dunque la considerazione che l’intelligence ha di sé, in Italia? Quali sono le prerogative che i servizi, e chi li dirige, sono disposti ad assumersi?

Domande che deve essersi posto, evidentemente, anche Gianfranco Fini, se ha deciso di criticare in modo tanto salace l’operato dell’intelligence. “Dov’era il nostro controspionaggio? E se c’era, dormiva?”. Parole così taglienti che da qualcuno, in FdI, sono state interpretate come uno mezzo sgarbo ad Alfredo Mantovano, il sottosegretario alla Presidenza che gestisce la delega ai servizi. Come che insomma, nella confusione generale, la responsabilità del pastrocchio non possa che ricadere sui vertici assoluti del sistema? Chissà. Di certo c’è che anche Nordio, a giocare la parte dell’unico citrullo, non ci sta. E infatti c’è chi ha notato come il suo tirare in ballo i colleghi del Viminale e della Farnesina, durante la sua relazione alla Camera, sia stato un avviso ai naviganti: “Non vado a fondo da solo”. Chissà il buon Uss, da Mosca, come se la ride.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.