Trainspotting Strapaese

Pipe e bastoni, pasticche di Benedetto Croce. Dieci ore di cultura di destra

Carmelo Caruso

Il racconto dell'evento più spassoso della destra organizzato da Francesco Giubilei, consigliere del ministro Sangiuliano. Appennini da ripopolare, boiardi da inseguire, italiano da presidiare e filosofi coreani

Commissario, è tutto vero. Eravamo a Roma, all’Hotel Quirinale, e per un’intera giornata abbiamo sniffato “stati generali della Cultura nazionale”, l’evento organizzato dalla destra di governo. Dieci ore. In pratica dieci grammi purissimi di “cultura ostracizzata”. E poi anche pasticche. Era quasi overdose. C’erano insospettabili. Abbiamo ingerito ciclozina con il ministro della Cultura, Sangiuliano; codeina con il filosofo Zecchi; fenobarbitale con il vicepresidente della Camera, Rampelli; nalbulfina con il presidente del Maxxi, Giuli; petedina con il regista Edoardo Sylos Labini e anche pentazocin, con il vicedirettore de La Verità, Francesco Borgonovo. Camillo Langone, presente pure lui, si è staccato ed è andato a pregare.

 

Sembrava davvero di stare nel film di Danny Boyle. Era Trainspotting Destra Strapaese. La rete del Wi-fi aveva come nome “Impero” (Password: meeting 2023). All’ingresso si aggirava un tedesco con gli infradito. No, no, non cercava lo spirito di Leo Longanesi e neppure i libri di Guido Keller (18 euro) il famoso eroe del pitale, il futurista che lanciò la sua urina sopra il Parlamento. Più semplicemente il tedesco chiede: “Breakfast. Burro, pancetta. Boni, boni. Um, um. Dove? Dove?”. Lo ha afferrato un dipendente dell’albergo che gli ha spiegato: “Gentile ospite, questo è un evento culturale”. E lo era. Per diamine. Gianmarco Mazzi, sottosegretario alla Cultura, ha teorizzato la “spremitura della mail” e promesso che aiuterà le fondazioni sinfoniche, ma ha anche avvisato (le fondazioni sinfoniche) che devono dirlo che è stato lui ad aiutarli. Ccà nisciuno è fesso.

 

Nella “Sala grande”, Francesco Giubilei, ormai una star della tv e animatore di queste festino sfrenato, è più frizzante delle bollicine. E’ vestito come Amadeus e invita a prendere posto. Da quel momento i presenti hanno cominciato a pensare l’immaginario, e pure l’allucinogeno. Rampelli, che era strafatto di idioma italico, al bar, aveva le pupille dilatate: “Con la mia proposta sono finito pure sulla Cnn. La mia massima: il casino o lo fai bene o non lo fai”. Chiamato sul palco, anzi, sul piedistallo di legno intelaiato, ha spiegato che in Francia perfino l’ex presidente Mitterand, il socialista, era della sua stessa opinione. E poi: “I fighetti buttano qualche anglismo per fare i radical chic. Ma io sono architetto e vi dico: pensate a cosa saremmo se tutti avessimo la stessa identità. Non avremmo avuto il rococò, la cupola del Brunelleschi. Difendiamo la nostra lingua madre”.

 

Un giornalista della radio ha perso il filo. Eravamo ai radical chic, essere infidi e ripugnanti. Non ci crederete, ma si sono infiltrati pure qui. Puh! Puh! Un uomo,  in dolce vita nero, lo sguardo da critico inflessibile, avanza. Somiglia a Mario Praz, l’autore di La carne, la morte e il diavolo. Un sodale di Giubilei lo fissa: “E’ Christian Raimo. Anche lui vuole iniettarsi identità”. Alle 14, finalmente, Sangiuliano porta una bustina di “crack dei Lincei”. La sala inala Croce-Gentile-Prezzolini-Soffici-GaetanoMosca-VilfredoPareto-Ortega y Gasset-Cuoco-Burke-Vico. Dalla stanza attigua: “Chiamate un bibliotecario. E’ urgente”. Il direttore dell’albergo è indeciso se telefonare all’editore Adelphi o al 118 quando Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura alla Camera, di FdI, cita il pensatore coreano, l’irreprensibile Yungchunli.


Uno spettatore: “Yungchunli. Ma chi è? Un calciatore”. Sangiuliano lo confessa: “Oggi sono solo un ospite, ma la verità è che questa giornata è l’epilogo di una battaglia che ho cominciato a quattordici anni”. E’ il Marco Pannella del Vomero: una vita impiegata per rendere finalmente legale le destre leggere. Ad aiutarlo il suo capo di segreteria, Emanuele Merlino, altro organizzatore del festino. Ma torniamo a Mollicone: “L’Italia è mio padre, l’Italia è mia madre, l’Italia è il mio popolo, ho gerarchie d’amore, vorrei che l’Italia fosse dei miei figli e voglio che resti Italia”. L’operatrice della televisione stramazza. Adrenalina. Nella sala ristorante chi addenta i sedani rigati al pesto, e il girello brasato, lascia cadere la forchetta (quindici euro, pasto completo). Choc anafilattici a go-go. Sangiuliano ancora. Parla per trentasette minuti e al trentotto: “Non posso leggervi tutta la mia relazione”. Al minuto trentasei aveva precisato: “Ho conosciuto giornalisti poliziotti che non bruciavano libri, ma idee. Quanta afa e ‘oppressura’ c’è stata. Quanta? Abbiamo necessità di andare all’aria aperta”. Come dargli torto. Prima di farlo, ancora una nuova inalata: “Il conservatore è l’uomo del dopodomani, il termine è caucasico. Significa uomo che guarda il fuoco”. Un prezzolinano, a cui non gliela si fa: “Ma questa frase l’ho fumata già a dicembre durante l’evento di FdI, Atreju. Non è canapa buona”. Sangiuliano  assicura  che è purissima e che viene dal Giappone “la nazione del conservatore”. Roma-Tokyo, andata/ritorno. Giubilei, consigliere di Sangiuliano al ministero, finalmente può dire la sua: “Una cultura di destra esiste. Basti pensare al libro più venduto da un editore progressista come Feltrinelli. Quel libro è Il Gattopardo opera conservatrice”. Il regista Pierfrancesco Pingitore, papà del Bagaglino, domanda alla ragazza del bookshop: “Cerco Giubilei, lo conosce?”. Indossa un Borsalino e porta un bastone. Pipe e bastoni. Il poeta bolognese Davide Rondoni non smette di “pipare”. Spiega la differenza ai fetiscisti: “E’ una  pipa lunga”. E’ la stessa che amava Simenon. L’hotel somiglia al paradiso dei barbieri. Solo qui è possibile ammirare tutti i tipi di mustacchi e pizzetti: classico, ad ancora, a manubrio, a cinturino, sottogola, a capitano nordico, a mosca, alla Balbo. Da Milano si è precipitato pure il conduttore Rai (barba di sinistra?) Massimo Bernardini: “Ho questa debolezza, sono curioso”. Pingitore trova una sedia. Un giornalista di una testata politicamente corretta cade anche lui nell’immaginario. Chiede a Pingitore: “Maestro, ma si può pensare l’immaginario o si può costruire l’immaginario?”. Siamo nella fascia oraria di Gigi Marzullo. Pingitore: “Ma l’immaginario è una categoria dello spirito!”. A quel punto declama un sonetto che ha dedicato a Giorgia Meloni: “A noi ce piace quanno nun ammorgia / e manco vede Conte coi grillini/ e Letta e Fratoianni e la Boldrini/ Tu sei la prima donna presidente/ e tu sei tu! E tièllo sempre a mente”. L’intellettuale Angelo Crespi, che sin da quando è entrato aveva in mente di dirlo, denuncia l’egemonia di un boiardo di stato che per vent’anni ha comandato la cultura. Ma non ce la fa. Il nome lo ha sulla lingua. Niente, Crespi dice solo che la cultura è “olio di gomito”. E di merluzzo. Si suda come alle terme di Viterbo o, meglio, come ai rave di Berlino. Bottiglie di acqua minerale vengono svuotate. Luigi Mascheroni, la firmissima de Il Giornale, ma è anche il piccolo editore (De Piante), annuncia che sta per pubblicare un inedito di Gadda. Il nostro Langone canta le bellezze di Rovigo e rovescia il modo di dire “A Rovigo non mi intrigo”. Lui si intriga di Rovigo ma si non ubriaca di città eterna: “Il cappuccino di Roma non mi piace, preferisco quello dell’autogrill. E diciamolo”. Attenzione, qui c’è già aria di scissione tra il sovranismo alimentare e l’estetismo alimentare. Il dado è tratto. Sul palco parte la sfida: “Gli italiani devono riprendersi l’Appennino. Svuotiamo Roma e portiamo tutti i turisti a Gravina di Puglia”. I libri di Giubilei stanno andando a ruba, ma anche i due tomi di Adalberto Baldoni, Destra senza veli. Storia e retroscena della nascita dell’Msi a oggi. Sylos Labini, regista teatrale di destra, confida all’orecchio che è pronto a fare il suo sbarco in Rai: “Abbiamo dei progetti” (Pino Insegno, mica solo tu hai il privilegio di prendere il caffè a Palazzo Chigi con la premier). Il dannunziano Sylos Labini vuole infatti riportare il grande teatro in prima serata: “Ad esempio Nerone nella versione di Massimo Fini. Nerone non ha bruciato Roma”. C’è troppo fumo e ci siamo persi la notizia di Sangiuliano: “Mostra agli Uffizi sulle Avanguardie del primo Novecento”. Nonostante la quantità di “identità lsd” ingoiata, i corpi degli invitati reggono. Si aggiunge pure la comunità Rai. La quota FdI viene degnamente rappresentata da Paolo Corsini, Paolo Petrecca, Angelo Mellone, ma si sa che quando si ragiona di Rai, l’uomo giusto è Giampaolo Rossi. Che testa: “Viviamo in un terreno immaginario, attraverso la cultura audiovisuale possiamo intercettare le richieste di sapere delle nuove generazioni”. Ma Rossi ha il suo tabacco e se lo fuma da solo di fronte al camino di casa. E’ fatto così. Non ama i vizi Fuortes. Un altro che non riesce a scatenarsi è il politologo Alessandro Campi, nominato direttore del Museo del Risorgimento. Non c’è verso. Non accetta fumo dagli sconosciuti e  neppure da Ignazio La Russa che con “le sue frasi su Via Rasella ha danneggiato la sua leader. Ha sbagliato. La destra ha fatto le sue abiure. Basta con questo atteggiamento di minoranza”. Pietrangelo Buttafuoco incanta: “L’unica vera rivalsa della destra è l’eccellenza”. E però, la grecista Fulvia Toscano, non ci sta: “Siamo stati criminalizzati. Denuziamolo”. Commissario, è vero. Erano tutti “stupefacenti”, ma erano tutti di destra e spassosi. La sinistra ormai beve le camomille. I centri sociali, rispetto a queste orge di Curzio Malaparte, sembrano chiese barnabite. Le leggi del ministro Piantedosi sui rave? Giusto! Lui! Lui! Ecco chi era quel ministro del governo che ha dato buca alla fine….

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio