Giorgia Meloni e Antonio Tajani (Ansa)

l'analisi

Il problema del pressing italiano sul Fmi per aiutare la Tunisia

Mario Seminerio

La petulanza con cui l'esecutivo di Meloni bussa al Fondo monetario, date le condizioni di un paese governato da un autocrate come Saied, appare l’ennesimo indicatore di una insipienza assoluta nella gestione dei rapporti internazionali. Primo fra tutti quello con la realtà

Il governo italiano è da tempo alla frenetica ricerca di uno sblocco per la linea di credito da 1,9 miliardi di dollari che il Fmi avrebbe concordato a settembre scorso, per ora solo a livello di staff tecnici, a favore della Tunisia. Il paese nordafricano sta attraversando una grave crisi economica, fatta detonare dall’invasione russa dell’Ucraina e dal forte rialzo dei prezzi delle materie prime, che costringono Tunisi, a corto di riserve valutarie, a svenarsi per importare generi prima necessità e farmaci. Una crisi di bilancia dei pagamenti come molte altre viste nella storia dei paesi emergenti e degli interventi del Fmi. 

Il timore italiano è che, all’aggravarsi della crisi economica, la Tunisia divenga ben più di oggi la rampa di lancio di una devastante immigrazione verso il nostro paese. Ma i colloqui tra il Fmi e la Tunisia sono in stallo da mesi. Il paese è guidato dal presidente Kais Saied, un costituzionalista socialconservatore  eletto a ottobre 2019 con una piattaforma anti corruzione. Nel giugno 2021, per rispondere alle crescenti manifestazioni popolari per la crisi economica, ha compiuto un “autogolpe” sospendendo il Parlamento e governando da allora per decreto, avvalendosi del supporto dei militari. Saied è un cospirazionista puro e duro. Fautore della teoria secondo cui “potenze straniere” opererebbero per diffondere l’omosessualità in Tunisia, è contrario all’eguaglianza di genere su questioni ereditarie, secondo l’interpretazione della legge religiosa. Contrario alla normalizzazione delle relazioni con Israele, non è un islamista in senso corrente, in primo luogo perché non si definisce tale e ha consiglieri di diversi orientamenti politici. All’aggravarsi della crisi economica, a febbraio Saied ha soffiato sul fuoco di una campagna razzista contro gli immigrati subsahariani, che sono stati fatti oggetto di violenze, costringendo molti di loro a cercare riparo sulle coste europee e imbarcarsi verso l’Italia anche se questo non era il loro originario obiettivo. Ci sono stati arresti di massa tra gli irregolari. Nel frattempo, la crisi spinge un numero crescente di tunisini a partire verso le nostre coste. 

 

Il prestito del Fmi è la tradizionale linea condizionata a riforme profonde. Tra le quali spicca la ridefinizione dei sussidi, che devono essere mirati agli strati più poveri della popolazione e che invece tendono invariabilmente a stratificarsi sulle classi medie e anche alte. Prevista una riforma delle imprese pubbliche e la lotta alla corruzione e al sommerso. Immancabile la ristrutturazione del debito, interno ed estero. In questo scenario, Saied non ha ancora preso posizione ufficiale nei confronti del piano del Fmi e, quando è stata l’occasione, ha lasciato intendere che non intende assoggettare il paese a forme di colonialismo, facendosi dettare l’agenda di politica economica. In questo stallo, con la Banca mondiale che ha sospeso i programmi  con la Tunisia e i vertici del Fmi che stanno per proclamare obsoleto l’accordo del settembre scorso, vista l’assenza di progressi e l’ulteriore deterioramento del quadro sociale ed economico, il governo di Roma ha deciso di esercitare una crescente pressione sul Fmi e sui maggiori paesi occidentali per arrivare all’esborso, disinteressandosi del forte deterioramento del quadro politico e della soppressione delle libertà democratiche. 

Non è chiaro quale possa essere la  probabilità di un nostro successo. Il prestito del Fmi passa necessariamente per condizioni dure, e scarsamente appetibili per un governo retto da un autocrate nazional-populista. A meno che Roma non punti a una strada alternativa e di scarsa moralità, vista la situazione sul terreno, come una conferenza internazionale di donatori. Gli Stati Uniti al momento mostrano di non avere interesse prioritario alla stabilizzazione della Tunisia, anche se è verosimile che non intendano lasciare che la deriva arrivi alle estreme conseguenze di una guerra civile che potrebbe essere sfruttata da altre potenze o da gruppi islamisti. Ma la petulanza con cui il governo italiano bussa al Fmi, date le condizioni sul terreno, appare l’ennesimo indicatore di una insipienza assoluta nella gestione dei rapporti internazionali. Primo fra tutti quello con la realtà.  
 

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