Il populismo sui migranti non aiuta l'Italia in Europa

David Carretta

Per gli altri stati Ue la crisi migratoria non è solo in Italia. E dalla loro hanno i numeri. La trappola in cui sono caduti tutti i premier italiani è di illudere l’opinione pubblica che esista una bacchetta magica europea. Meloni è prigioniera anche delle contraddizioni populiste

Bruxelles. Nella bozza di conclusioni del Consiglio europeo di domani e venerdì, alle migrazioni sono dedicate appena quattro righe. “La presidenza del Consiglio (la Svezia, ndr) e la Commissione hanno informato il Consiglio europeo sui progressi nell’attuazione delle sue conclusioni del 9 febbraio sulle migrazioni. Il Consiglio europeo chiede rapidi progressi su tutti i temi concordati. Ritornerà sulla questione su base regolare”. Le quattro righe possono sembrare un disinteresse da parte dei leader dell’Unione europea. Non è così. Il rischio di una nuova crisi migratoria a un anno dalle elezioni europee terrorizza tutti. Ma ciascuno ha una visione diversa dell’emergenza e ogni dibattito dentro il Consiglio europeo è potenzialmente esplosivo: nord contro sud, sud contro nord, est contro tutti. L’Italia ritiene di essere lasciata sola e pretende solidarietà, nonostante sia uno dei paesi che beneficiano di più dell’assistenza dell’Ue. Buona parte del resto d’Europa è pronta ad aiutare, ma ritiene che l’Italia non rispetti le regole né si assuma le sue responsabilità. La trappola in cui sono caduti tutti i premier italiani è di illudere l’opinione pubblica che esista una bacchetta magica europea sui migranti. Giorgia Meloni è prigioniera anche delle contraddizioni populiste.

 
Sulle migrazioni “non vogliamo ripetere il dibattito del Consiglio europeo di febbraio: sarebbe lo stesso della scorsa volta”, spiega al Foglio un funzionario europeo per giustificare le quattro righe della bozza di conclusioni. In un mese e mezzo non è cambiato molto. In una lettera Ursula von der Leyen ha spiegato ciò che ha fatto da febbraio. “Ci sono già stati progressi” su rafforzamento dei confini esterni, procedure di frontiera e di rimpatrio, movimenti secondari e solidarietà, cooperazione con i paesi terzi, ha spiegato la presidente della Commissione. Nel frattempo, ci sono stati i più di 120 morti del naufragio di Cutro e al largo della Libia. Gli sbarchi in Italia sono più che triplicati nei primi tre mesi dell’anno. Ma vista da altre capitali l’emergenza sta da loro. E dalla loro hanno i numeri che smentiscono la narrazione dell’Italia lasciata sola a occuparsi di tutti i migranti dell’Ue.

  

Nel 2022, a fronte di circa 100 mila sbarchi in Italia, Germania e Polonia hanno accolto quasi un milione di rifugiati ucraini. La Germania, principale paese di accoglienza per richiedenti asilo, ha anche ricevuto quasi 250 mila domande di asilo da parte di migranti di altre nazionalità. In Francia sono state 137 mila, in Spagna 118 mila, in Italia appena 77 mila. Austria, Paesi Bassi e Belgio dicono che, a causa dei movimenti secondari, le loro capacità di accoglienza sono oltre i limiti. Una parte dei migranti proviene dalla rotta dei Balcani, un’altra dall’Italia. I movimenti secondari, vietati dalle regole di Dublino, sono sempre stati una valvola di sfogo per i paesi di primo ingresso, in una specie di meccanismo informale di ricollocamenti. Ma i paesi del nord sono infuriati perché, da quando è in carica, il governo Meloni rifiuta di riprendersi i “dublinanti” (i migranti che dall’Italia sono andati in altri paesi). “Se fino a novembre il tasso di trasferimenti di ‘dublinanti’ era del 10 per cento, oggi è zero”, spiega un diplomatico europeo. A inizio marzo Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Paesi Bassi e Svizzera (che non è membro dell’Ue, ma è parte di Schengen) hanno chiesto alla Commissione di far rispettare Dublino, accusando l’Italia di non essere “in buona fede”.

 

L’Ue ha fatto quel che poteva per aiutare Meloni sui migranti. La Commissione ha lavorato per riparare i danni della crisi con la Francia provocata dal caso Ocean Viking e ha chiuso un occhio sul decreto sulle navi delle ong. Il piano d’azione sul Mediterraneo centrale stanzia finanziamenti per Tunisia, Egitto e Libia per tentare di limitare le partenze e intercettare migranti in mare. I ricollocamenti volontari sono ripartiti lentamente. L’Ue ha evitato di criticare i mancati soccorsi in acque internazionali. Ma poi la realtà prevale sulle contraddizioni populiste. Meloni dice che per risolvere il problema dei movimenti secondari occorre bloccare i movimenti primari. Ma bloccare le partenze e lottare contro i trafficanti in paesi extra Ue è più facile a dirsi che a farsi. Frontex fa già rimpatri europei, ma non si possono effettuare quando non ci sono accordi con i paesi di origine. Un blocco navale nell’Ue è escluso perché vietato dal diritto europeo e internazionale. Le precedenti missioni navali civili o militari dell’Ue sono state chiuse su richiesta dell’Italia perché considerate un “pull factor” (l’ultima, Sophia, per volontà di Matteo Salvini). Nei negoziati sul nuovo Patto su migrazione e asilo, Meloni non ha chiarito se vuole i ricollocamenti – come chiede l’Italia a Bruxelles – oppure se è contraria perché sono un “pull factor” – come ha detto il presidente del Consiglio a Roma. Ogni forma di solidarietà obbligatoria è bloccata dagli alleati di Meloni nel Consiglio europeo, il premier ungherese, Viktor Orbán, e quello polacco, Mateusz Morawiecki. Germania, Francia, Belgio e Paesi Bassi sono pronti alla solidarietà con i ricollocamenti. Ma in cambio chiedono che l’Italia rispetti le regole europee sui movimenti secondari e quelle internazionali sui salvataggi in mare.