(foto Ansa)

modelli a confronto

Macron n'est pas Conte: lezioni per i presidenzialisti all'italiana

Giuliano Ferrara

Dopo la riforma delle pensioni il presidente francese rischia l’immobilismo. La verità è che senza trasformismo non c'è stabilità

Per essere un uomo Rotschild o il presidente dei ricchi, Emmanuel Macron è isolato dai mercati finanziari forse più ancora di quanto è minoritario nel paese che lo ha eletto un anno fa. Eppure la riforma delle pensioni, divenuta legge (a parte un ricorso al Consiglio costituzionale), è fatta per la salute della finanza pubblica, per l’equilibrio dei conti di un paese indebitato parecchio, meriterebbe il giubilo dei cosiddetti mandatari del presidente liberale e riformista che ha sfidato la France d’en bas, i sindacati tutti, le opposizioni ideologiche e populiste di sinistra e di destra. 

 

Invece niente. Il Financial Times ha osservato che riformare le pensioni va bene, ma in questo modo i prossimi quattro anni di Macron saranno immobilisti anziché riformatori. La finanza ha paura di una nazione e di un sistema politico bloccati, e l’innalzamento di due anni dell’andata in pensione legale non compensa quest’ansia. Qualche ragione l’hanno, questi famosi ricchi dei quali il presidente francese sarebbe una marionetta, secondo i suoi avversari demagoghi, e invece li delude. Ma sono ragioni di sistema sulle quali i mercati, digiuni di antropologia, di storia e di politica, forti in aritmetica e dotati di vista a corto e medio termine, non sono in grado di riflettere. 

I mercati a Parigi e altrove sono fortissimi, l’argent roi ha dominato gli ultimi due secoli e non ha alcuna intenzione di abdicare nel XXI secolo, ma il sistema politico ideato da De Gaulle, un generale diffidente della moneta e dell’economia, amico della spada e del plebiscito di ogni giorno alla Ernest Renan, funziona attraverso la Costituzione della V Repubblica disegnata da Michel Debré, e ha una rigidità che limita il potere di Macron, e di chiunque altri fosse al suo posto, se è per questo.  

 

Non avendo vinto le elezioni legislative, tenutesi due mesi dopo la sua elezione per l’infernale coincidenza istituzionale voluta dal partito di Chirac e Sarkozy quando diede il via al quinquennato presidenziale, il capo dell’Eliseo non ha la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale, si limita a godere del fatto che le opposizioni di sinistra e di destra non si mescolano nel voto e non determinano una maggioranza alternativa. Prima lo sfalsamento temporale fra presidenza settennale e Parlamento quinquennale poteva dare luogo alla coabitazione con un primo ministro dell’opposizione e ad altre risorse trasformiste all’italiana, di cui fu grande beneficiario François Mitterrand, il fiorentino. Paradossalmente alla Francia d’en haut mancano i Conte, i Franceschini, i Renzi e altre risorse repubblicane dell’Italia cosiddetta instabile ma flessibile, volatile ma imperturbabile, come per esempio i governi tecnici di unità nazionale del presidente. Che guaio essere espertissimi nell’arte dello stato, da Richelieu e Mazzarino in avanti, ma eternamente vittime della Fronda popolare e delle grandi famiglie dell’opposizione. 

 

Si dirà, ma De Gaulle e Debré previdero tutto e diedero al presidente la facoltà di far passare una legge senza un voto dell’Assemblea, mediante la procedura costituzionale del famoso 49 ter. Vero fino a un certo punto. Dall’opposizione, e dall’intellighenzia, si obietta una cosa più vera del vero: lo strumento che annulla il Parlamento, il cui ordine del giorno è fissato dal governo, che a sua volta è il gabinetto d’azione del presidente della Repubblica, fu escogitato dai gollisti per fiaccare la pretesa dei partiti in Aula di andare contro il mistico rassemblement o incontro di un uomo e di un popolo in cui consisteva secondo loro l’elezione di un re repubblicano alla testa dello stato. Con la crisi di ideologie e partiti nazionali e l’avvento di un presidente liberale e cosmopolita, di netta minoranza nell’elettorato, eletto in parte in virtù del suo programma ma sopra tutto per fare barriera all’avversaria Marine Le Pen, impalatabile al contrario di Giorgia Meloni, che non faceva paura a nessuno, accade che l’incontro mistico è solo un ricordo. Così è indiscutibile che Macron, il quale adesso deve tenere il punto e rischia un sostanziale immobilismo politico, non solo era minoranza nell’Assemblea, ma era ed è in minoranza anche nel paese. Circostanza invero imbarazzante e foriera, malgrado la legittimità delle procedure di origine gollista, di una crisi democratica e sociale acuta. Il 49 ter è stato usato per liquidare il potere parlamentare e il blocco sociale di maggioranza assoluta che vuole salvare due anni di paresse per i lavoratori.   

 

Ecco. I mercati dovrebbero riflettere su questo, e anche i partiti politici italiani presidenzialisti o semipresidenzialisti alla francese dovrebbero riflettere su questo dato. Senza un elemento di trasformismo che consenta di passare dal contratto populista grilloleghista a un centrosinistra presieduto dal tenutario notarile del contratto stesso, e poi attraverso un grande governo tecnico a un governo di centrodestra che ne fa le veci, e in alcuni casi lo imita o ne è seguace, senza questo pasticcio istituzionale curato da un capo dello stato che in ipotesi conta niente, la stabilità vera è molto difficile ottenerla. Strano ma vero, ai francesi manca un Comte

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.