"Max Romeozov". Così il capo della Lega in Senato piccona Meloni sull'Ucraina

Valerio Valentini

Lollobrigida e Fitto evitano di commentare. Ciriani sbuffa: "C'è chi pensa alle elezioni". Romeo non tentenna: "Lo stop a questo beliccismo è un convincimento di tanta gente del centrodestra". Insomma la premier chiede solidarietà alle opposizioni sulla guerra, ma sono i suoi alleati ad andarle contro

Dice: “Vabbè, è Romeo”. Lo dice, nella fattispecie, Francesco Lollobrigida, con l’aria di chi si morde la lingua. Solo che lui, Massimiliano Romeo, salviniano a tutto tondo, capogruppo al Senato della Lega, proprio lui è quello che si oppone a questa sorta di assuefazione: “Non vi distrarrete mica, mentre intervengo?”, sibila ammiccando ai colleghi meloniani. Insomma, s’era capito che l’aria era frizzante. E allora eccolo che prende la parola, nell’Aula del Senato.

Non intende deludere le aspettative. Critica la Nato e l’Ue, elogia il supposto piano di pace cinese, stigmatizza “questa corsa ad armamenti sempre più potenti, col rischio di un incidente da cui non si torna indietro”, chiede se davvero “una escalation del conflitto riuscirà a tenere lontana la guerra dall’Italia”, lamenta di fronte a Giorgia Meloni che “ben poco è stato fatto sul fronte del cessate il fuoco” e che anzi, “l’obiettivo della cessazione delle ostilità sembra più una dichiarazione di principio”. Il tutto, guardando la premier, a poche ore dal Consiglio europeo, sfidandola perfino (“Sento dire che lei è una tosta”, dunque, è il senso, si faccia valere nella Nato). Lei un po’ lo guarda torva, un po’ traffica sullo smartphone: viso rabbuiato, espressione di chi non gradisce. Quando Romeo smette di parlare, nei banchi di FdI, tutti immobili: nessun applauso se non quello della sparuta pattuglia leghista. 

Raffaele Fitto se la cava come può: “Io non ho sentito, non ero in Aula”. Meloni lascia il Senato senza voler commentare. Tra i banchi del governo – banchi peraltro disertati in blocco dalla delegazione del Carroccio – gli sfoghi di rabbia patriottica ci sono, però. “Una roba da fuori di testa”. Di più: “Discorso scritto dall’ambasciata russa”. C’è perfino chi la mette sullo scherzo: “Max Romeozov”. Luca Ciriani, ministro per i Rapporti col Parlamento, si appella al testo della risoluzione: “Quel che conta è il voto”. Che però l’intervento di Romeo sia la sostanziale confutazione di quel testo, quello in cui il governo rinnova il sostegno all’Ucraina, è evidente. “Quel che dice Romeo è un problema di Romeo. Forse – sbuffa Ciriani – si pensa già alle elezioni in Friuli”.

Lui, in verità, dissimula serenità. “Ho solo espresso un profondo convincimento mio e di molta gente della Lega e di elettori di centrodestra”, spiega Romeo. E sia. La sostanza, però, sta in una contraddizione politica clamorosa: “Nel giorno in cui Meloni chiede alle opposizioni solidarietà nazionale sulla guerra in Ucraina – dice Lella Paita, capogruppo del Terzo polo che proprio sulla guerra ha dato sostegno all’esecutivo – si ritrova con un pezzo della sua maggioranza che rinnova in Aula i propri slanci filorussi”.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.