Foto di Virginia Mayo, AP Photo, via LaPresse 

L'editoriale del direttore

Da Credit Suisse fino al Mes: l'Europa salverà anche i sovranisti

Claudio Cerasa

Più difesa dell’Unione europea uguale più sovranità, non più vulnerabilità. Il caos bancario ricorda la scelleratezza delle battaglie nazionaliste contro i provvidenziali vincoli europei

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha detto ieri, mostrando un’invidiabile sicurezza, che la crisi di Credit Suisse, acquisita dalla banca Ubs per una cifra vicina ai tre miliardi di franchi svizzeri, ha un impatto “insignificante” per il sistema bancario italiano. Lo ha detto con orgoglio, il ministro dell’Economia, e lo ha detto a nome di un governo i cui principali azionisti, nel passato, non hanno però fatto a meno di demonizzare lo stesso diabolico vigilante che oggi, magicamente, sta permettendo alle banche italiane di osservare con un certo ottimismo l’evolversi di due crisi finanziarie importanti, come quella di Credit Suisse e come quella della Silicon Valley Bank.

Il vigilante, neanche a dirlo, è la cattivissima Unione europea. L’Unione europea delle regole, della vigilanza, degli stress test, della cessione di sovranità. La stessa Europa che per una vita i sovranisti hanno descritto come se fosse un virus e che ora invece permette ai populisti di un tempo di osservare con uno sguardo rassicurato una crisi bancaria che, senza la vigilanza europea, avrebbe potuto essere qualcosa di simile a un armageddon finanziario, essendo stata quella di Credit Suisse, prima di tutto, una crisi legata a un tema non di insolvenza, non sistemico dunque, ma di fiducia e, semmai, di liquidità (e quando le crisi intaccano la fiducia, si sa dove cominciano ma non si sa dove finiscono).

Bisogna dunque ringraziare l’Europa, e il Financial Stability Board, un’organizzazione internazionale deputata a monitorare il sistema finanziario mondiale, per aver promosso, assieme alle autorità finanziarie americane, dei meccanismi più stringenti per regolare il sistema bancario mondiale. È grazie a quei meccanismi, come ha ricordato in questi giorni il capo del fondo Algebris, Davide Serra, che rispetto alla crisi finanziaria del 2008 oggi la capitalizzazione presente all’interno delle banche mondiali ammonta a una cifra vicina ai 12 triliardi di dollari (nel 2008 erano circa 4 triliardi). Ed è grazie a quei meccanismi che le istituzioni statali che non si sono lasciate intimorire dalle ondate populiste possono sentirsi rassicurate anche di fronte al collasso di alcune banche estranee ai meccanismi di vigilanza della Fed e della Bce (la Silicon Valley Bank era fuori da questo processo virtuoso a causa di una decisione di Donald Trump, che da presidente degli Stati Uniti ha escluso le banche con asset inferiori ai 250 miliardi di dollari, come Svb, dal dover rispondere alle regole di capitalizzazione previste dalle istituzioni finanziarie).

La cessione di sovranità, ancora una volta, ha permesso ai paesi sovrani di proteggere la propria sovranità. Ha permesso ai sovranisti di proteggersi da eventuali ondate di attività speculative. E come spesso capita, la lezione per i vecchi populisti è sempre la stessa: di fronte alle crisi potenzialmente sistemiche, la difesa dell’interesse nazionale si trova all’estremità opposta rispetto alla difesa del nazionalismo. È stato grazie alle istituzioni europee, ai contratti europei, che il nostro continente è stato in grado di muoversi in modo efficace nell’acquisto dei vaccini, durante la fase più acuta della pandemia.

È stato grazie alle istituzioni europee, e al debito comune creato dall’Ue, che alcuni paesi europei sono riusciti a ritrovare la rotta della crescita (pensate a quanto frutta in termini di pil il Pnrr a un paese come l’Italia, qualcosa come due punti l’anno). È stato grazie alle istituzioni europee, e al lavoro lento ma infine efficace fatto dall’Ue, che i nostri paesi hanno potuto combattere contro la Russia una guerra economica, a colpi di sanzioni, che ci ha permesso di difendere una democrazia aggredita senza aver avuto bisogno di mettere i nostri stivali direttamente sul terreno. E, infine, sarà ancora grazie alle istituzioni europee se un domani l’Italia, rifuggendo dalle sue pulsioni sovraniste, riuscirà a governare con intelligenza i flussi migratori. È possibile che per alcuni giorni i titoli delle banche continueranno a muoversi in modo anomalo, ed è possibile anche che lo spread italiano possa muoversi al rialzo, come accaduto ieri mattina quando ha superato i 200 punti base. 

Ma quello che è impossibile non capire oggi è che una realtà come l’Italia, che essendo un paese ad alto debito e con un debito in parte sostanziale presente nella pancia delle banche, ha solo un’opzione per continuare a osservare crisi come quella di Credit Suisse e come quella di Svb con lo stesso sguardo ottimistico suggerito ieri da Giorgetti: continuare a offrire all’Europa più poteri per governare la nostra economia, come ha ricordato ieri il governatore Ignazio Visco suggerendo l’implementazione rapida di uno strumento europeo di protezione dei depositi, che vuol dire completare l’unione bancaria.

E non dimenticare che quando l’Europa suggerisce uno strumento ulteriore per difendere l’interesse nazionale l’atteggiamento di un paese con la testa sulle spalle dovrebbe essere diverso da quello usato dall’Italia nei confronti del Mes (la cui ratifica è un pezzo essenziale del completamento dell’unione bancaria) e dovrebbe essere più o meno di questo tipo: utilizzare gli assist dell’Europa per proteggere la nostra economia smettendola di considerare le richieste dell’Europa come qualcosa da cui proteggersi per tutelare l’interesse nazionale. È dura da credere, ma se oggi i sovranisti possono proteggere le banche italiane dalla speculazione internazionale lo devono a tutto ciò che in passato hanno sempre combattuto: la cessione di sovranità, le regole dell’Europa, la vigilanza dei burocrati di Bruxelles, la sorveglianza di Francoforte. Più difesa dell’Europa uguale più sovranità. Più difesa del sovranismo uguale più vulnerabilità. Benvenuti nella realtà.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.