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contro l'interesse nazionale

Meloni mente sul Mes. Ma il peggio è che non sa di cosa parla

Luciano Capone

Perché non è stata ancora ratificata la riforma? Il governo prova a difendersi tra bugie e assurdità. Il Fondo salva stati spiegato alla presidente del Consiglio

Non era il giorno più adatto a fare proclami contro il Mes. Dopo che Credit Suisse crollava in Borsa e reclamava aiuto alla Banca centrale svizzera, mentre i listini delle banche italiane ed europee precipitavano e la Bce chiedeva a tutti gli istituti di comunicare la loro esposizione nei confronti della banca elvetica, Giorgia Meloni in Parlamento bloccava la riforma che introduce il backstop al Fondo di risoluzione unico che serve proprio ad arginare le crisi bancarie. Ma al timing più che inopportuno, la premier ha aggiunto argomenti contraddittori e inconsistenti. Per giustificare la scelta di non ratificare la riforma del Mes, già approvata da tutti gli altri paesi dell’Eurozona, la premier è costretta a mentire e a prendere una posizione incoerente. Viene punzecchiata durante il question time alla Camera da Luigi Marattin (Terzo polo): “Avevate detto ‘Aspettiamo la Germania’, poi la Germania ha ratificato. Poi avevate detto ‘Aspettiamo la Croazia’ e la Croazia ha ratificato. Quando ratifichiamo il Mes?”.  E Meloni ricorre a una palese menzogna: “Lo scorso novembre – dice la premier – questo governo ha ricevuto dal Parlamento un mandato, non ad aspettare la Germania”.

   

“Io non sono solita aspettare quello che fanno gli altri”, ha proseguito Meloni, spiegando che il mandato ricevuto dal Parlamento era “a non ratificare la riforma e a non aprire questo dibattito in assenza di un quadro chiaro di ordinamento regolatorio europeo”. E’ falso. La mozione di maggioranza, approvata il 30 novembre, impegna il governo a non ratificare la riforma del Mes “alla luce dello stato dell'arte della procedura di ratifica in altri stati membri”, e cita esplicitamente la Germania  – all’epoca l’unico paese insieme all’Italia a non aver concluso l’iter – dove “la procedura risulta sospesa in attesa di una pronuncia della Corte costituzionale federale”. Poi, pochi giorni dopo, la Corte di Karlsruhe respinse il ricorso e Berlino ratificò il nuovo Mes. Ma oltre al centrodestra parlamentare, a dire in maniera più esplicita che il governo “aspettava la Germania”, era stata la massima autorità politica in materia. Durante la conferenza stampa del 4 novembre, a una domanda sul Mes, Meloni passò la parola al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che rispose con un sorriso sornione: “Siamo in buona compagnia, noi e la Germania, gli unici paesi che non l’hanno approvato. Aspettiamo con pazienza la decisione della Corte di Karlsruhe, che rispettiamo moltissimo”.

 

Questa è la parte falsa della risposta di Meloni, che non è neppure la peggiore. Molto più grave è l’incoerenza di tutto il resto. Finché c’è lei al governo, dice Meloni, “l’Italia non potrebbe mai accedere al Mes, ma temo che non accedano neanche gli altri”. E’ un’affermazione che non ha alcun senso e che è scollegata dalla ratifica. Perché approvare il nuovo trattato non vuol dire affatto chiedere una linea di finanziamento: nessuno dei 19 paesi che ha ratificato la riforma intende farlo. Perché al Mes si ricorre quando un paese non ha più accesso al mercato. Quindi Meloni non dovrebbe “temere” che nessun paese chieda aiuto al Mes, ma dovrebbe sperarlo: vorrebbe dire che non ci sono grosse crisi nell’Eurozona. E non è neppure vero, come sostiene, che quando è stato utilizzato il Mes ha prodotto disastri: perché dei 5 paesi dove ha operato (Cipro, Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna) tutti hanno approvato il nuovo trattato. Come lo hanno fatto tutti gli altri che non hanno mai chiesto soldi al Mes (eccetto l’Italia, ovviamente).

 

Un altro non sequitur è il passaggio in cui Meloni afferma che l’Italia non deve procedere con la ratifica perché serve un ripensamento integrale del Mes. E a supporto, rilancia la proposta del presidente di Confindustria Carlo Bonomi, secondo cui se si ritiene che il Mes “non sia nell’interesse nazionale del paese e che non sia un fondo adeguato ad affrontare le sfide, allora dovrebbe essere il momento per discutere di usarlo come uno strumento di politica industriale europea”. E’ una posizione surreale, perché pare quasi che Meloni per trasformare il Mes debba trovare un accordo con la Confindustria e i sindacati. Ma è agli altri 19 paesi che deve rivolgersi. In Europa esiste già una discussione sulle possibili nuove funzioni e missioni del Fondo salva stati, se il governo ha delle idee è in quella sede che deve esporle cercando di raccogliere dei consensi attorno alle sue proposte. Ma il problema politico è proprio che il suo veto alla riforma attuale blocca qualsiasi altra discussione su una riforma futura.

   

Non a caso nei giorni scorsi il presidente dell’Eurogrupo Paschal Donohoe, che rappresenta i ministri delle Finanze dell’eurozona, e il direttore del Mes Pierre Gramegna hanno sollecitato il governo a procedere con la ratifica. Se l’Italia blocca un accordo faticosamente raggiunto da 20 paesi e ratificato da 19 parlamenti, è impensabile che riesca a convincere tutti i paesi dell’eurozona che sono d’accordo su questa riforma a buttare a mare il lavoro fatto e accettare una nuova proposta dell’Italia. Anzi, mettere un veto e isolarsi in Europa è proprio la strategia perfetta per non cambiare nulla e lasciare il Mes così com’è. Della posizione di Meloni, al netto delle bugie, è questa la cosa più preoccupante per l’interesse nazionale.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali