La locomotiva s’era mossa in anticipo ed era giunta prima del previsto alla stazione Vittoria. Tutto liscio, senza intoppi. Non si poteva più attendere, i vagoni erano stracolmi di gente ansiosa di arrivare, nemmeno fosse un treno indiano e ciascuno portava valigie straripanti di bisogni, di voglie, di aspirazioni e speranze. Vittoria era solo la prima, ma decisiva tappa di un viaggio in cui il convoglio dei desideri si sarebbe trasformato nella Freccia Azzurra della nuova Italia. Ma ben presto aveva preso il passo della tradotta, troppi macigni bloccavano i binari, tanto che i macchinisti avevano dovuto chiamare a consulto il vecchio ferroviere, il quale sapeva come funziona il quadro di comando che ormai non è più soltanto domestico. Un tempo si diceva che gli elettori scelgono in base ai loro interessi materiali e immediati: tasse, lavoro, pensioni, consumi, un universo dominato dal calcolo di costi e benefici individuali. Il mondo piatto, il tramonto degli ideali, liberté, fraternitè, egualité alle ortiche insieme ai libri della storia come noi l’avevamo conosciuta nei secoli scorsi, tutto finito sotto le macerie del muro di Berlino. Insomma quel che è stato detto e scritto dal 1989 fino a un anno fa quando le truppe dello zar Vladimir II hanno violato l’Ucraina che aveva dato i natali a Vladimir I detto il santo. Dove va il treno dei desideri nelle mani forti, ma ancora inesperte di Giorgia Meloni? Può andare all’incontrario come in “Azzurro”, la canzone scritta da Paolo Conte e resa famose da Adriano Celentano?
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