Foto di Ettore Ferrari, via Ansa  

L'editoriale del direttore

Le crisi bancarie impongono a Meloni di passare a una nuova fase (un Ponte non basta)

Claudio Cerasa

Il crac della Silicon Valley Bank e poi il collasso di Credit Suisse hanno colpito le borse europee. L'Italia deve corazzarsi contro ipotetiche crisi future. La risposta che serve è una stagione di proattività

Le prime vere turbolenze finanziarie registrate in Italia durante l’èra Meloni – turbolenze derivate da fattori per così dire esogeni, prima il crollo della Silicon Valley Bank e in seguito il collasso finanziario di Credit Suisse, crolli che hanno contribuito a colpire le borse europee, con la Borsa italiana che ha fatto segnare numeri particolarmente negativi a causa di una presenza quasi egemonica dei titoli delle banche italiane sui listini italiani  – hanno costretto anche gli osservatori più ottimisti a porsi con urgenza una domanda importante.

  

E la domanda è più o meno questa: c’è qualcosa che il governo italiano potrebbe fare, concretamente, per corazzarsi contro eventuali crisi che un domani potrebbero mettere a rischio la stabilità finanziaria del nostro paese? Rispondere a questa domanda non è semplice, naturalmente, ma essendo il nostro masochismo senza limiti abbiamo deciso di azzardare una possibile risposta al quesito. Risposta che non può non prescindere da un cambio di passo necessario nell’azione di governo grosso modo riassumibile così: passare con urgenza dalla stagione del non si farà alla stagione di quel che si farà.

 

Fino a oggi, la grande forza del governo Meloni è stata quella di rassicurare gli osservatori internazionali declinando una lunga e fitta agenda di cose che questo governo non farà. Non farà pasticci con il debito pubblico, non tradirà le coordinate di politica estera atlantista, non asseconderà per nessuna ragione i troll del putinismo, non devierà la rotta sul Pnrr, non smetterà di portare avanti una pragmatica azione di indipendenza energetica dalla Russia putiniana. La politica del non farò, almeno finora, ha permesso al governo Meloni di fare un passo nella stagione della responsabilità, ma la presenza sulla scena economica di una fiammata di crisi finanziaria, crisi per fortuna circoscrivibile essendo il problema di Credit Suisse legato non a un tema di solvibilità ma di liquidità della banca, costringe Meloni a ragionare su una fase più proattiva rispetto a quella precedente al centro della quale vi sarà l’agenda del ciò che si farà.

 

E dunque, per provare a rispondere marzullianamente alla nostra domanda, nell’agenda del ciò che si farà di Meloni ci sono almeno cinque punti che dovrebbero essere messi urgentemente a fuoco per permettere all’Italia di presentarsi sulla scena come paese sempre desideroso di affinare la sua affidabilità. La prima questione, cruciale, riguarda la capacità che avrà la premier, nei prossimi mesi, di spendere bene i soldi del Pnrr e la presidente del Consiglio sa bene che buona parte della credibilità dell’Italia futura passa dalla fase costruens del Piano nazionale di ripresa e resilienza (il Pnrr da solo vale due punti in più di pil all’anno). 

 

La seconda questione, strategica, riguarda la capacità che avrà l’Italia, nei prossimi mesi, di presentarsi sulla scena pubblica come un paese desideroso di attrarre capitali, capitalisti e investitori e da questo punto di vista il combinato disposto tra delega fiscale e riforma della giustizia costituirà la vera cartina al tornasole dell’affidabilità del paese (il protezionismo rende più deboli). La terza questione, fondamentale, riguarda la volontà del governo di premiare più le competenze che le appartenenze e non ci vuole molto a capire che un paese desideroso di scommettere sulla leva della responsabilità non può permettersi di avvicinarsi alle grandi nomine di stato seguendo il modello Anastasio (occhio a Eni, Enel, Poste e Leonardo).

 

La quarta questione, di forte attualità, riguarda la capacità che avrà il governo di non perdere tempo in discussioni senza senso, come quella legata alla ratifica del Mes, e il fatto che l’Italia sia l’unico paese in Europa che si chieda, ancora, se sia necessario avere un freno d’emergenza da attivare in caso di crisi finanziarie simili a quella che ha patito due giorni fa la Svizzera, con Credit Suisse, dimostra la pericolosità della posizione italiana su questo tema.

 

Il quinto punto, se si vuole ancora più pragmatico, riguarda un punto centrale dell’agenda del si farà ed è legato alla consapevolezza o meno che mostrerà l’Italia nell’affrontare una fase potenzialmente densa di pericoli, come può essere quella caratterizzata da tassi di interesse al rialzo, forte di una consapevolezza che oggi non sembra essere presente all’interno del governo: costruire in Europa le alleanze necessarie per evitare che le due grandi riforme del futuro, Patto di stabilità e aiuti di stato, siano per l’Italia un pugno nello stomaco. Archiviare la fase del non farò per entrare nella stagione di quel che si farà. L’affidabilità del governo Meloni, più che dal Ponte sullo stretto, da oggi passa da qui.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.