Sul Pnrr Fitto segue la via della continuità indicata dal Quirinale. E il 30 marzo arriva l'assegno di Bruxelles

Valerio Valentini

La modifica alla governance procede con cautela, in virtù degli avvertimenti di Bruxelles e del Colle. Si spiega così la volontà del ministro meloniano di confermare Goretti al vertice della Struttura di missione. La scelta del nuovo ambasciatore presso l'Ue: via Benassi, tocca a Celeste

Qualcuno paventava un terremoto. Qualcuno lo auspicava, perfino, un sommovimento generale. La verità è che Raffaele Fitto vuole muoversi con molta cautela, nel riassetto della governance del Pnrr. Et pour cause, visto che la Commissione europea, in un recente aggiornamento delle linee guida del Next Generation Eu in vista del varo del RePowerEu, ha avvisato i naviganti: “Agli stati membri che sottopongono Piani modificati – si legge nel documento inviato a Palazzo Chigi – verrà chiesto di giustificare con precisione come le strutture di controllo preposte sono ancora appropriate e, dove necessario, come verranno rinforzate”. Anche di questo il ministro meloniano ha discusso coi funzionari di Ursula von der Leyen, nel suo viaggio diplomatico.

Una missione che ha dato una certezza non scontata: la verifica sul raggiungimento degli obiettivi di dicembre 2022 ha finalmente superato alcune incognite, il 30 marzo l’assegno europeo da circa 20 miliardi dovrebbe essere recapitato al Tesoro, per la felicità di Giancarlo Giorgetti. Nunc est bibendum, dunque, ma senza esagerare. Perché il confronto coi tecnici della Commissione ha convinto Fitto anche della necessità di lavorare con estrema accortezza, perfino più di quella già preventivata, alla ridefinizione della governance. Anche perché, oltre che a quella di Bruxelles, il responsabile degli Affari europei deve badare pure all’attenzione del Quirinale, che sulle dinamiche legate al Pnrr vigila con scrupolo. E anche così, dunque, si spiegherebbe la più che probabile conferma di Chiara Goretti al vertice della piramide dei tecnici.

La dottrina del Colle, per quel che riguarda le questioni europee, resta la stessa: cambiare solo quello che si deve, garantire continuità laddove si può. E se una delle ipotesi più solide che circolano tra i collaboratori di Fitto è quella di trasferire al vertice della costituenda Struttura tecnica per il Pnrr i massimi responsabili che hanno finora guidato la defunta (o quasi) Segreteria tecnica per il Pnrr (ah, meravigliosa ansia nominalistica della politica italiana!),  è proprio perché questa soluzione ridurrebbe il rischio che nell’avvicendamento di tecnici e funzionari s’impatani l’attuazione del Pnrr in vista dei nuovi 27 traguardi di giugno. Dunque le quotazioni di Goretti prendono inevitabilmente consistenza. L’apprezzamento che ha saputo guadagnarsi anche presso il nuovo ministro è notevole, e non scontato per una funzionaria promossa a Palazzo Chigi dall’allora capo di gabinetto di Draghi, Antonio Funiciello. La stima di cui Goretti gode presso gli uffici del Quirinale – alla luce, tra l’altro, della considerazione che per lei ha Ugo Zampetti, segretario generale della presidenza della Repubblica, fin dai tempi in cui l’economista romana lavorava come consigliere parlamentare al Senato – fa il resto, specie in una fase in cui a Palazzo Chigi cercano in ogni modo di non contravvenire ai suggerimenti che arrivano dal Colle.

Del resto, che un cambiamento troppo radicale nella squadra che gestisce il Pnrr sarebbe azzardato, lo dimostra anche la prudenza con cui Fitto sta attuando la transizione dall’una all’altra struttura di governance, con un periodo transitorio più lungo del previsto e che si protrarrà, pare, almeno fino alla conversione del decreto da parte del Parlamento. Cautela non casuale, se è vero che lo sfiorato pastrocchio sul Pos, coi responsabili legislativi di mezzo governo  che non s’erano accorti che l’innalzamento al limite dell’esenzione dei pagamenti in contante cozzava con un target del Recovery, è stato solo il più eclatante di una serie di inciampi rischiati anche durante l’approvazione del Milleproroghe. Meglio non scherzare col fuoco.

Ed è così, in virtù di questa consapevolezza, che anche sulla scelta del nuovo rappresentante permanente presso l’Unione europea il governo ha puntato sul massimo della competenza. Per questo ieri, in Cdm, si è approvata la nomina di Vincenzo Celeste: sarà lui a guidare la diplomazia italiana, dal prossimo mese, quando il mandato dell’ambasciatore Pietro Benassi scadrà. Era d’altronde il profilo più solido, quello di Celeste. Già in servizio presso la rappresentanza italiana a Bruxelles dal 2005 al 2010, quindi consigliere diplomatico, in epoca Monti, di quell’Enzo Moavero Milanesi che lo volle con sé, nel suo gabinetto, anche durante la sua seconda esperienza di governo in epoca grilloleghista al ministero degli Esteri, da oltre tre anni a capo della direzione generale per l’Europa alla Farnesina, Vincenzo Celeste, Enzo per gli amici, napoletano classe ’62, è stato fin dall’inizio il candidato da tutti ritenuto ideale, per andare a guidare la corposa delegazione di feluche italiane a Bruxelles. Né Antonio Tajani né Fitto hanno avuto grandi dubbi: lui che ha seguito da vicino le trattative sul Pnrr, lui che conosce come pochi i dossier sulle procedure d'infrazione (ahi, la Bolkestein), lui che vanta stima e ammirazione trasversali. Chi, dunque, se non lui?

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.