Foto di Fabio Cimaglia, via Ansa 

i sovrintendenti

Politica spuntata. All'Arena resta Gasdia, al Maggio fiorentino zero idee per Cutaia

Alberto Mattioli

Lei è alla guida del teatro veronese dal 2018 e nessuno è riuscito a sostituirla. A Firenze andrà invece il superburocrate che di opera non è esperto. Due vicende parallele

Sovrintendenti che restano, sovrintendenti che arrivano. Onofrio Cutaia prende il Maggio musicale fiorentino; Cecilia Gasdia non molla l’Arena di Verona. Due vicende parallele che segnano pesanti sconfitte politiche per i rispettivi sindaci, entrambi di centrosinistra, e confermano la difficoltà per la politica di gestire questi problemi.

 

Gasdia, veronese, ex celebre soprano, è alla testa dell’Arena dal gennaio 2018, messa lì dal precedente sindaco di destra Federico Sboarina (per inciso, che l’unica sovrintendente donna di una fondazione lirica sia una sorella d’Italia dovrebbe dare da pensare, in zona Schlein). Quello nuovo, di sinistra, l’ex calciatore Damiano Tommasi, ha provato a sostituirla, ma si è mosso tardi e male. Arrivato alla conta in Consiglio d’indirizzo, il candidato di Tommasi, l’ex baritono (è una storia piena di ex qualcosa) ed ex direttore artistico a Sydney, Lyndon Terracini, ha preso tre voti, quelli del sindaco e dei due consiglieri indicati dal comune.

 

Gasdia ne ha avuti quattro, dai due soci privati e dai rappresentanti di ministero e regione. Quindi Gasdia resta a Verona, Terracini in Australia e, per la prima volta a memoria di cronista, un sindaco si è fatto impallinare nel Consiglio di una fondazione lirica. Gasdia ha il principale merito di aver riportato i grandi cantanti a Verona (ricordo personale: una volta me la vidi sbucare a sorpresa a Vienna, arrivata guidando da Verona sotto una nevicata per portarsi a casa il tenore Jonas Kaufmann) e insomma conosce il mestiere e l’ambiente. La sua idea zeffirelliana di spettacolarità è ancora pagante benché in prospettiva non appagante; il suo modo di gestire le relazioni sindacali, invece, molto discusso. Ma in ogni caso non avrebbe avuto molto senso sostituirla alla vigilia dell’estate del Festivalone numero 100, con l’Aida in mondovisione, un cartellone ricchissimo, e messo insieme da lei. 

 

A Firenze, Dario Nardella è riuscito a bruciare il suo secondo sovrintendente: dopo Cristiano Chiarot, Alexander Pereira, già intronizzato al Maggio con impegnativi paragoni con Batistuta. Due personaggi non si potrebbe più diversi cui il sindaco aveva affidato missioni completamente opposte, salvo poi liquidarli quando le stavano realizzando. Nel frattempo il Maggio, dopo aver preso dallo stato più soldi di qualsiasi altra fondazione lirica, rimane schiacciato dal debito e rischia di non poter pagare gli stipendi.

 

Non è ancora chiaro se Cutaia arriverà a Firenze come sovrintendete o come commissario, anche se fa poca differenza perché il commissariamento, il terzo dal 2005, sarà probabilmente inevitabile. La città si divide con voluttà in fazioni, pro e contro Pereira, ennesima variante dei derby guelfi-ghibellini, bianchi-neri, palleschi-piagnoni. L’aspetto stupefacente è che né il sindaco né la politica locale e nemmeno l’opinione pubblica abbiano avviato qualsivoglia discussione non sulle persone, che pure contano, ma su ciò che deve essere il Maggio, il suo rapporto con la comunità, la strana natura di un’istituzione che è un festival ma anche un teatro ordinario, la gestione di una sala nuova sovradimensionata rispetto alla città e pure clamorosamente sbagliata. Niente.

 

Basta leggere i giornali locali per rendersi contro che, a parte le rituali esortazioni apotropaiche e già fuori tempo massimo a salvare l’istituzione, la storia, la gloria, il rango di Firenze e bla bla bla, non c’è nessuno, dal sindaco in giù, che abbia un’idea sulla base della quale scegliere gli uomini per realizzarla. Infatti Cutaia è un superburocrate del ministero di osservanza nastasiana ma non un esperto d’opera; inevitabile che lo debba affiancare un direttore artistico di cui però nessuno parla, come se il progetto artistico fosse una quisquilia. Ora, nessuno pretende che i politici debbano aver competenze di teatro musicale. Però, quando ancora esistevano i partiti, qualcuno che le aveva c’era, dava consigli, lottizzava con giudizio ed evitava loro di fare troppe sciocchezze. Anche qui, ridateci la Prima Repubblica.

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