Palazzo Chigi

L'affaire Sechi: la nomina del portavoce di Meloni è ormai un'opera buffa

Carmelo Caruso

La premier lo convoca a Palazzo Chigi, ma il partito continua a non volerlo, Salvini non lo sopporta perché vuole contare in Eni. Al governo non si capisce se sarà nominato o no. Sembra un racconto di Perec. La cronaca di una giornata pazza

Roma. Hanno fatto tutto loro: si sono cercati, si sono lasciati, non si sono (ancora) presi. Nessuno conferma, nessuno smentisce che Mario Sechi sia o non sia il nuovo  portavoce di Giorgia Meloni. Come si può fare della onesta comunicazione se la premier non comunica cosa intende fare? Sechi non risponde al telefono, il governo tace. Non si può verificare la notizia, questa: la nomina di Sechi, ieri mattina, veniva data a Palazzo Chigi per saltata.


Un presidente del Consiglio in carica ha trascorso, ieri, due ore del suo tempo con il direttore dell’Agi. Erano circa le 17 quando Sechi è entrato per un colloquio con la premier. Oggi è previsto un Cdm. C’è chi immagina che la nomina possa essere ratificata e comunicata ai ministri prima della partenza della premier per l’India (oggi pomeriggio). C’è chi spiega che per una nomina di un portavoce e di un capo ufficio stampa basta un semplice dpcm. La nomina di Sechi nasce da una notizia data da una firma rigorosa come quella di Adalberto Signore, giornalista del Giornale, presidente della Associazione stampa parlamentare. Un sigillo.

 

L’ufficialità si attendeva al ritorno della Meloni da Kyiv. Non è un’invenzione della stampa maligna ma solo un “se ne parla dopo Kyiv” , frase pronunciata dallo stesso Sechi a molti colleghi della carta stampata. Per carità, potremmo sbagliarci, e dopo aver finito di scrivere questo articolo scoprire che Sechi è il nuovo capo ufficio stampa. In quel caso gli faremmo i nostri auguri. Quello che è certo (ed è certo) è che tutti i funzionari di Palazzo Chigi, alla chiusura di questo articolo, davano la premier come “furiosa”.

 

Era furiosa perché la nomina è ormai fuori controllo. Era furiosa perché il partito non vuole Sechi. Era furiosa perché perfino la sorella Arianna avrebbe dei dubbi. Era furiosa perché nel suo governo i comunicatori o mancano o scappano (hanno lasciato ieri la portavoce del ministro Gennaro Sangiuliano e Giovanni Sallusti, portavoce del ministro Giuseppe Valditara. Nel caso di Sallusti, a onore del vero, ha pesato la lontananza dalla famiglia).

 

La premier era infine furiosa perché Matteo Salvini è altrettanto furioso come e quanto lei. Quando il leader della Lega ha appreso di Sechi dicono che abbia storto il naso, ma quando ha saputo che ad Agi, agenzia di stampa del gruppo Eni, Sechi chiedeva di indicare anche il profilo della nuova direttrice, Salvini non ci ha più visto. Nessuno può permettersi di sindacare su chi sceglie chi, tanto più un vicepremier dare consigli alla sua premier. Ma se un direttore di un’agenzia come Agi, che ha una sua natura particolare, cerca di guidare la sua successione (così dicono nella Lega) è ovvio che i partiti alzano la testa.

 

Qualcuno può dire: ma di cosa scrivete? Cosa cambia la nomina o meno di un portavoce? E’ un errore. A fare scattare Salvini, a fare chiedere “discontinuità” per le nomine delle partecipate, ad aprire il fuoco sulle partecipate, è stato “l’affaire Sechi”. Ad Agi, e dunque Eni, da giorni si è avviato anche l’iter per la successione del direttore. Può una società importantissima come Eni finire in questo guazzabuglio?

 

A furia di stancare. Nessuno degli uomini e delle donne vicinissime a Meloni riesce a capire cosa la premier abbia deciso. Non ha dunque più senso dire, come dice la premier, “leggo ricostruzioni della stampa francamente incomprensibili”. Una domanda: la stampa come dovrebbe costruire i propri articoli se lo staff di Meloni non conosce la sua volontà? Costruisce gli articoli con i mozziconi che restano per terra, quelli che è costretta a raccogliere lungo il marciapiede. Primo mozzicone. Lo ha lasciato un uomo di FdI che ha parlato con la premier. E’ un mozzicone raccolto il 28 febbraio alle 11 di mattina. “Posso confermare che la premier dà per tramontata la nomina di Sechi”. Mozzicone dell’ora di pranzo: “Torna forte l’ipotesi che Meloni chieda nuovamente a Daniele Capezzone di farle capo ufficio stampa e portavoce”. Glielo aveva chiesto in passato. Terzo mozzicone. Vi avvisiamo, questo è tabacco fortissimo (anche Sechi è un noto tabagista): “Luca Telese potrebbe essere interessante. E poi a Libero c’è un giornalista che la segue da anni”. Quarto mozzicone (tabacco da pipa, dei saggi): “La premier aveva un’idea. Cercava una firma del Corriere della Sera che purtroppo non ha accettato e che tutti i giornalisti avrebbero amato per la sua tenerezza e professionalità. Un altro nome di spessore è quello del giornalista Roberto Inciocchi di Sky Tg 24”. Questo è invece il mozzicone trovato a Palazzo Chigi, sotto la pioggia, pochi minuti prima dell’uscita di Sechi (dal retro): “Se Meloni lo ha chiamato significa che lo prende. Se Meloni ci avesse ripensato sarebbe bastata una telefonata”. Sono passati oltre dieci giorni. Se la convinzione della Meloni fosse stata forte sarebbe bastata una semplice firma, nel caso contrario, questa semplice risposta: “Ho già il mio staff”. Quanto peserà tutto questo nella futura nomina di Sechi o nell’eventuale ripensamento di Meloni su Sechi?
 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio