La solitudine del satiro Grillo, caimano del M5s: così il Capo non fa più paura

Simone Canettieri

A Orvieto il debutto del tour "Io sono il peggiore". Le battute che fanno ridere solo i suoi amici, la trovata della Chiesa dell'Altrove e la cena con Conte e Travaglio  

Orvieto, dal nostro inviato. Escono alla spicciolata. L’ex premier Giuseppe Conte, sorriso e fossette: “Visto che spettacolo? Avrà successo anche con la sua nuova religione, d’altronde chi avrebbe mai scommesso sul M5s?”. Roberto Fico, già presidente della Camera, con scorta da far impallidire Joe Biden: “Rimane il miglior comico italiano”. Pasquale Tridico, presidente dell’Inps, gote rosse e volto preoccupato: “Non potevo mancare: è un amico. Ora torno a Roma. Comunque io scado fra un anno, ma credo che il governo voglia farmi fuori prima: speriamo bene”.  Marco Travaglio, direttore del Fatto: “Era in formissima, mi è molto piaciuto: ho visto tutti i suoi show”. Ma ha parlato di “processo politico” contro il figlio, nemmeno fosse il Cav. “Non mi sembrava il cuore dello spettacolo”. Valerio Tacchini, già notaio casaleggiano del M5s e dell’Isola dei famosi: “E’ un cazzaro che mi mette buon umore”. Una volta a una cena di questo calibro si sarebbero decisi i destini del paese e del governo, ma anche della Rai, delle partecipate e del M5s, ovvio. Invece l’unica scelta rilevante alla fine sarà quella del vino: un poderoso, e molto gradito, rosso Decugnano dei Barbi. La cena degli amici di Beppe Grillo è finita. A Orvieto sono le due di notte. E ognuno ha pagato per sé. “Belin, son genovese io”. 

Finalmente esce dal ristorante anche lui. E’ con l’inseparabile Nina Monti: cantante, manager, curatrice del blog, portavoce, assistente, sorella e amica che ora fa parte anche della comunicazione del M5s (il padre è stato il paroliere di Patty Pravo). Poi c’è Umberto Cottafavi, l’amico che lo accompagna sempre (un tempo fonte preziosa dei cronisti accampati notte e giorno davanti all’Hotel Forum di Roma per carpire gli umori del capo). Più altri tre collaboratori, facce nuove o quasi. La corte insomma si è ristretta. Mancano per esempio gli storici avvocati Andrea e Paola Ciannavei e quella pletora di adoranti deputati e senatori che gli facevano da scudo umano. Siamo dunque davanti a un piccolo club.


Grillo ne è consapevole, forse sì o forse no. I suoi riccioli madreperla accendono il Corso grigio-tufo della cittadina umbra appena si palesa per i saluti finali alla piccola compagnia. Non ci sono telecamere ad attenderlo. Ha dato qualche titolo buono alle agenzie di stampa prima, durante lo spettacolo. Non c’è bisogno di fare le ore piccole per prendere ancora le sue dichiarazioni, è il pensiero diffuso dei giornalisti, costretti per anni a farsi maltrattare pur di riuscire a estorcergli una mezza frase in grado di cambiare la giornata.  
Grillo comunque è contento, stretto nel gilet imbottito. Dopo quattro anni di astinenza dal palco è tornato alle origini. Sembra in pace. E’ disarmato. Non insulta e non provoca l’unico cronista che lo sta aspettando fuori dal ristorante.   
Vince la soddisfazione e il gusto per quella che si appresta a essere la sua terza vita tra palco e la trovata dell’altrovismo.  
E’ pacioso, dunque. Anche se il debutto della tournée qui al Teatro Mancinelli non ha registrato proprio il tutto esaurito (450 paganti: diversi buchi in platea, e qualche palco vuoto, soprattutto al terzo piano). Le prevendite sembrano andar bene solo nelle grandi città. “E domani si va a Cassino. Ho fatto tutto a braccio, senza scaletta e alcune battute me le sono anche dimenticate. Ho 75 anni, ragazzi”. 
Prima faceva sorridere l’Italia, poi metteva paura con quegli occhi magnetici da capopopolo, adesso è coccolato dagli affetti stabili. Non detta la linea, anche se in cuor suo pensa di incidere ancora. Ha libertà di parola contro chiunque. Giuseppe Conte, per esempio, gli ha preso le misure e lo tiene a bada con un contratto da “consulente” (300 mila euro all’anno) che scade il prossimo aprile. Un vitalizio destinato a diminuire, a quanto pare. 


Tutto gli è perdonato, ormai, al demiurgo del vaffa. Il suo spettacolo – “Io sono il peggiore” – è un già visto tributo a se stesso, con un paio di belle trovate, al suo essere visionario, alla laurea honoris causa dell’università di Quito, ai pranzi con il Nobel Joseph Stiglitz, le chiacchierate con l’ex presidente dell’Uruguay Pepe Mujica, il reddito universale per tutti, dopo quello di cittadinanza (“Diamo 1.500 euro al mese agli italiani, ricchi e poveri”), le auto a idrogeno, la smitizzazione dell’intelligenza artificiale, l’elogio alla Cina, “la più grande economia capitalista del mondo”.  

Grillo ormai è diventato il Silvio Berlusconi del M5s. Anche se non fa mai riferimenti alla guerra.
Se ne sta lassù. In quota intoccabile. Tutti sanno che quando parla potrebbe dire qualsiasi cosa, ma tutto dura il tempo di un petardo (“ragazzi, sapete com’è Beppe, no? Valgono le parole di Conte”, si affannano ormai i comunicatori del M5s quando scatta l’emergenza, oggi sempre più di rado). 
Per esempio il Garante afferma che “il governo Meloni va lasciato lavorare e che alla fine si prenderà tante battaglie del Movimento, cambiando solo nome alle cose”.

Eccetto, certo, l’abolizione del reddito, che proprio non gli va giù. Il comico che fu leader, ora in versione nonno nobile, è ubicato nell’altrove, una dimensione metapolitica, come la nuova religione che dice di aver fondato per acchiappare i soldi dell’otto per mille. “D’altronde se sono nati i pastafariani perché non può esserci il mio credo?”.
La sua creatura sembra averlo annoiato. E così l’ha ceduta - dopo trattativa velenosa e dietro monetizzazione finale - a Conte che chiama anche dal palco “il Mago di Oz”. 
L’ex premier ormai ci ride sopra. Non lo teme. Ma lo tiene buono, questo sì. E’ arrivato a Orvieto in compagnia di Michele Gubitosa, vicepresidente con delega alle nomine (e l’uomo che parla con il governo, sempre azzimato ed educatissimo fino all’affettazione). 
Ecco, scusi Conte ma perché continua a pagare Grillo: a cosa le serve? Il sacro blog non è più seguito come una volta, sui social non fa più breccia e lei, soprattutto, è lontano anni luce da quella stagione così chiassosa. “Siamo due facce della stessa medaglia”. Ma non è vero. “E’ così. Non è vero che Beppe non ci aiuta, e comunque è un grande consulente per noi. Ha intuizioni, capisce di comunicazione come pochi. Vuole mettere quanto vale farsi una chiacchierata con Grillo: noi due ci parliamo spesso”. Sarà. “E comunque è meglio Beppe dei consulenti scelti dal Pd in campagna elettorale, non crede?”. Seguiranno risata e richiesta di selfie da parte dei presenti.

Insomma, resiste un rispetto di fondo nei confronti del grande capo. Ma sembra solo di facciata. Nel Palazzo, a Roma, dietro alle spalle gliene dicono di tutti i colori, soprattutto i volti storici che ha segato con la storia del secondo mandato (chiedere a Vito Crimi o a Paola Taverna). Stesso discorso per i nuovi big convinti che “la presenza di Beppe ci fa perdere solo voti”, come dice spesso un ex ministro. 

Sicché Grillo è diventato il nonno del Movimento: tante cose ormai non gliele raccontano nemmeno più, d’altronde ha i suoi guai e i suoi pensieri. Sembra sublimarsi nel Cav. quando attacca la magistratura politicizzata per la storia del figlio Ciro per giunta nel giorno dell’assoluzione di Berlusconi nel Ruby Ter: “Sono tranciato dentro, so che questa storia finirà bene, ma fra tanti anni. Io ho 150 processi, ma finché capitano a me non c’è problema”. 
La parte finale dello spettacolo è una nemesi per chi sull’insulto, sul vaffa e sullo sputo ha fondato un Movimento che è andato a Palazzo Chigi, spinto dal 33 per cento degli elettori. Sì, Grillo legge le mail piene di improperi che gli mandano. Molte di queste sono del 2020, subito dopo il governo con il Pd, altre risalgono all’epoca del governo con Draghi. Le ultime grandi scelte dell’istrione che fa ridere solo chi gli vuole bene. 

Dario Carotenuto ha preso di corsa l’Intercity dalla stazione Termini: napoletano, videomaker, è un neo deputato grillino. “Sapevo che Beppe ci teneva alla nostra presenza, così ho preso il treno e sono qui. Speriamo che ci siano anche molti miei colleghi. Ma ci saranno?”. No. I parlamentari a questo appuntamento  latitano. C’è il senatore Marco Croatti e pochissimi altri. A cui vanno aggiunti gli ex eletti come Davide Tripiedi e Paolo Bernini, quello dei chip sotto la pelle, e Claudio Cominardi che non sta più alla Camera, ma è meglio tenerselo buono visto che è il tesoriere del partito.


Di quella stagione non è rimasto più nessuno: l’unico è Fico, qui stranamente loquace, e ultimamente molto attivo dal suo ufficio di rappresentanza che gli spetta a Montecitorio. Virginia Raggi da tempo dice di non capire più Beppe perché ha ceduto all’ex premier il suo giocattolo. Alessandro Di Battista a giorni lancerà un’associazione che forse diventerà qualcosa di più. Luigi Di Maio, una volta il prescelto, è ancora in attesa della nomina a inviato della Ue nel Golfo. Lo spettacolo inizia con un espediente: Grillo si fa fare le domande dal pubblico in una sorta di intervista collettiva. E ne capita una proprio sull’ex ministro degli Esteri. Cosa ne pensa? “Dio mio, né male né bene. Non lo chiamo nemmeno tradimento perché Giuda era socio di Gesù.

Di Maio ha fatto una cosa meravigliosa, ci ha permesso di rinascere con il mago di Oz”. Ci saranno battute su Sanremo e Roberto Benigni, il verso a Sergio Mattarella mentre applaude dal palco dell’Ariston, qualche tirata contro un governo che in Europa sarebbe chiamato di estrema destra. E poi certo Fedez e il suo bacio. In un recesso remoto della sua testa, il comico crede davvero di potersi tuffare come Paperone nei dobloni dell’otto per mille: “La mia Chiesa dell’Altrove alla fine della tournée avrà 10 mila iscritti”. Lo dice sul palco e lo ripete ai commensali. C’è chi beve, chi lo ascolta, chi ride, chi pensa ad altro. Forse è il momento di tornare a Roma.
 

Di più su questi argomenti:
  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.