Foto LaPresse

polemiche in riviera

Evviva il Sanremo politico

Claudio Cerasa

La figuraccia su Zelensky pesa, ma l’invasione della politica al Festival è anche sintomo di qualcosa di positivo: l’incompatibilità tra il grande show di Sanremo e il triste spettacolo dell’anti politica. Non ci credete? Unite i puntini

Nelle polemiche legate a Sanremo, c’è un elemento per così dire culturale che viene spesso colpevolmente trascurato da molti osservatori. Quell’elemento ha a che fare con un tema che riguarda Sanremo, certo, ma che riguarda in generale l’Italia e che ha a che fare con una questione che meriterebbe una piccola riflessione: l’incredibile pervasività della politica, in Italia. Una pervasività che, nel corso degli anni, ha contribuito a trasformare il Festival di Sanremo in un palcoscenico utile non solo a mettere in luce i migliori talenti musicali del nostro paese, ma anche a mettere in rilievo le principali linee di frattura presenti nel dibattito politico. E gli organizzatori del Festival, negli ultimi anni, lo hanno capito perfettamente e hanno fatto del loro meglio per trasformare il Festival in un’occasione perfetta per offrire agli italiani argomenti extra musicali su cui discutere a cena. Lo hanno fatto dando sempre maggiore spazio ai monologhi, lo hanno fatto avallando nei monologhi la presenza di argomenti divisivi, lo hanno fatto trasformando le ospitate in un’occasione utile a rappresentare tutte le quote della società, lo hanno fatto, come dice il nostro amico Andrea Minuz, miscelando la vecchia Italia nazional-popolare con quella moderna, più fluida, più globale e più multietnica.

 

Non è la terza Camera dello stato, Sanremo, è semmai un acquario che permette agli italiani, sia quelli che amano Sanremo sia quelli che lo odiano, di poter osservare in trasparenza quelle che sono le vere faglie del paese. Diventa politica la presenza non politica del presidente della Repubblica (che cosa ci voleva dire Mattarella andando a Sanremo?). Diventa politica la presenza di un comico che parla della Costituzione (con chi ce l’aveva Benigni quando ha citato l’articolo 21?). Diventa politica la presenza non politica di un messaggio sul razzismo (che cosa ci voleva dire la Egonu parlando di xenofobia?). Diventa politica la presenza non politica di un cantante fluido (che cosa ci voleva dire Amadeus invitando un cantante che non si sente né uomo né donna?). Diventa politica la presenza non politica di un messaggio di Zelensky (che cosa ci vogliono dire i politici che hanno contestato la presenza del presidente ucraino a Sanremo?). Diventa oggetto della politica ogni reazione della politica ai fatti di Sanremo (il Pd, sulle polemiche sanremesi, ha costruito un pezzo della sua campagna elettorale e congressuale).

 

E’ tutto politico a Sanremo, lo abbiamo visto, sia quello che è politico sia quello che non lo è, sia chi gli argomenti politici li introduce per far riflettere (i monologhi) sia chi gli argomenti politici li introduce ormai perché cerca disperatamente un modo per far parlare di sé non riuscendoci sempre con la musica (Fedez). E il fatto che qualunque cosa accada durante Sanremo, anche un’eventuale guerra mondiale, diventi un rumore di fondo, un tema certamente importante ma solo da affrontare dopo Sanremo – fare per esempio uno sciopero della fame durante Sanremo è un dramma doppio, il corpo si debilita ma il pubblico smette di parlare di te – potrebbe portare a indignarsi, potrebbe portare a mostrare l’indolenza degli italiani, il loro provincialismo, ma potrebbe portare anche a fare un ragionamento diverso, più allegro, più ottimistico, più vicino a un carattere dell’Italia che Sanremo in qualche modo celebra.

 

Si è detto spesso, negli ultimi anni, che l’Italia sia un paese ostaggio di uno spirito anti politico, un paese cioè che valorizza quando può tutto ciò che risponde ai criteri minimi dell’essere anti casta, dell’essere anti sistema, ma il fatto che la popolarità di Sanremo sia direttamente proporzionale alla capacità che ha Sanremo di far parlare di sé anche attraverso i messaggi politici veicolati ci restituisce un’altra verità, persino non convenzionale. E il fatto è questo. La prova che l’Italia è un paese che al fondo non ha grande dimestichezza con l’anti politica è nel fatto che tutto in Italia diventa politica. E quando tutto diventa politica, quando tutto diventa uno scontro tra fazioni, quando tutto diventa un dialogo tra le parti, è evidente che a vincere sia la politica, sia la discussione, sia il confronto, anche se a volte questo diventa un litigio, e l’acquario di Sanremo, con la sua capacità di essere un simbolo condiviso con cui si identificano ogni anno milioni di persone, è lì a ricordarci che un paese che trasforma tutto in politica, e che si appassiona al più istituzionale dei programmi della nomenclatura televisiva, e che si rifiuta di boicottarlo, è un paese che al fondo ha i giusti anticorpi per non appassionarsi troppo all’antipolitica. E dunque, figuraccia su Zelensky a parte, dipesa più dalla Rai che dal Festival, vale la pena urlarlo ancora: lunga vita al Sanremo politico!

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.